Costruire sulla frattura

Per un'economia del bene comune.

di Francesco Piobbichi

La cooperazione non è un’utopia etica astratta: è il principio fondativo della vita stessa. Dalle simbiosi cellulari, che hanno reso possibile l’evoluzione delle specie, alle comunità umane che prosperano grazie al mutuo appoggio, fino ai modelli politici basati sul municipalismo e la democrazia diretta, emerge una logica costante: sopravvivere e prosperare significa intrecciare legami, condividere risorse, costruire reti. 

Questa logica si scontra frontalmente con il paradigma dominante: il darwinismo neoliberista e lo Stato-nazione che lo nutre. Negli anni ’70 la biologa Lynn Margulis propose la Teoria Endosimbiotica Seriale (SET), accolta inizialmente con scetticismo, ma capace di rivoluzionare la biologia. La sua tesi era radicale: molte innovazioni decisive dell’evoluzione — come la comparsa della cellula eucariotica, ovvero una cellula complessa con un nucleo ben definito — non nascono dalla competizione, ma dall’integrazione di organismi diversi in un unico sistema.

Mitocondri e cloroplasti, ad esempio, sono antichi batteri incorporati da altre cellule in un rapporto di reciproco vantaggio. Da qui nasce il concetto di olobionte: un organismo complesso formato da più specie in simbiosi, con un patrimonio genetico combinato (ologenoma) che determina salute, sviluppo e adattamento. L’essere umano è un olobionte: sopravvive grazie a una comunità invisibile di microbi, funghi e virus che abitano soprattutto nel microbiota intestinale. Questa visione scientifica trova un’eco sorprendente in Pëtr Kropotkin che, in Mutual Aid, sosteneva come la cooperazione sia una forza evolutiva tanto importante quanto la selezione naturale. 



Studiando le comunità animali in Siberia e nell’Artico, Kropotkin osservò che la sopravvivenza era spesso garantita non dalla competizione, ma dal sostegno reciproco. Il mutuo appoggio non era per lui un principio morale, ma una strategia di successo evolutivo. Oggi Abdullah Öcalan riformula questa intuizione proprio con il confederalismo democratico: un sistema in cui il potere si radica nelle comunità locali, organizzate in assemblee autonome e federate tra loro. Un concetto politico basato sulla democrazia diretta, sul femminismo e sull'ambientalismo. 

La cooperazione diventa pratica quotidiana: gestione collettiva delle risorse, partecipazione diretta, rispetto per la diversità culturale ed ecologica, liberazione delle donne. Le idee di Öcalan dialogano con quelle di Murray Bookchin, teorico dell’ecologia sociale e del municipalismo libertario. Bookchin sosteneva che le città devono tornare a essere spazi di decisione collettiva, governate da assemblee di quartiere interconnesse in confederazioni, con un’economia etica centrata sui bisogni umani e la vita buona.

Autonomia comunale e Stato-nazione

Se il paradigma cooperativo — dalla cellula alla città — si fonda su autonomia e interdipendenza, lo Stato-nazione ne è l’antitesi.

I partiti elettorali ne sono il braccio politico, integrando la società in una democrazia svuotata:

  • assorbono il conflitto sociale e lo neutralizzano in dibattito parlamentare;

  • trasformano istanze radicali in programmi compatibili con l’apparato statale;

  • mantengono la struttura piramidale del potere e la riproducono in burocrazia e ceto politico che svolge una funzione di direzione politica sulla società;

  • sopravvivono nella competizione elettorale senza produrre cambiamenti reali.

Antonio Gramsci aveva intuito che il partito potesse essere “Il moderno principe”, capace di unificare e dirigere il blocco sociale rivoluzionario. Ma in una fase storica segnata dalla centralità strategica dello Stato-nazione, questa intuizione oggi si rivela più una trappola che una possibilità: il Principe, in mano al partito elettorale, non emancipa ma integra le masse nel meccanismo statale. 

Niccolò Machiavelli, ne “Il principe”, fornisce un manuale per conquistare e mantenere il potere statuale, concentrando decisione e comando in un vertice. Il filosofo Thomas Hobbes, un secolo dopo, ne offre la giustificazione filosofica definitiva: nell’homo homini lupus, la “guerra di tutti contro tutti” può essere evitata solo cedendo ogni potere a un sovrano assoluto, il Leviatano

È una visione fondata sulla paura e sulla sfiducia reciproca, che assume il conflitto come stato naturale e riduce la cooperazione a prodotto della coercizione.

Lo Stato-nazione moderno è figlio di questa logica: si presenta come garante dell’ordine, ma trae forza proprio dalla frammentazione sociale che produce.

Laddove Hobbes vede nella centralizzazione l’unico antidoto al caos, il paradigma dell’olobionte e del mutuo appoggio mostra che l’ordine può nascere dall’autogoverno e dalla cooperazione spontanea. Non è l’autorità a prevenire la distruzione reciproca, ma la capacità delle comunità di organizzarsi e sostenersi senza un centro sovrano.

Cooperazione contro competizione

La logica dell’olobionte indica un’altra strada:

  • smontare la piramide del potere e sostituirla con reti orizzontali di cooperazione confederate;

  • operare nei quartieri, nei comuni, costruendo reticolati sociali di welfare dal basso e mutualismo gestito da assemblee democratiche.

  • costruire potere popolare, dal basso, fino a rendere superflue le vecchie strutture della democrazia borghese.

Il capitalismo è un’infezione di questa dimensione sociale: non solo rapina sistematicamente risorse, ma ne impedisce lo sviluppo, esercitando sul corpo sociale una funzione di dominio attraverso lo Stato. Per questo serve un terreno organizzativo che riconosca la cooperazione e ne favorisca la confederalità.

Non semplicemente  nella dimensione locale, ma come base di un nuovo internazionalismo su base confederale che pone al centro la questione ecologica. Un processo dialettico, non lineare, che cresce nel confronto con lo Stato e richiede che la direzione politica sia svolta dalla società  stessa.

Partito sociale: confederalità e cooperazione

Bisognerebbe chiamare questo modello “partito sociale”: la parte di società che si costruisce e cresce  fuori dallo Stato-nazione, nei suoi margini e nelle sue contraddizioni.

Un’organizzazione connettiva che unisce mutuo aiuto, democrazia diretta e contrattazione dal basso — non per diventare il “Principe”, ma per dissolverne il trono sorreggendo la società.

Questa è di per se una impresa enorme, rivoluzionaria che richiede una visione radicale dei rapporti sociali. Richiede militanti con un approccio etico e morale alla politica totalmente diverso dalla lotta di potere e di selezione dei gruppi dirigenti che si sviluppa nei partiti elettorali (oramai ridotti a piattaforme mediatiche che candidano attori politici).  

In questo senso diventa oggi fondamentale interrogarsi in maniera realista sul come. Da un lato non dobbiamo divenire partito elettorale, secondo la norma del potere e del dominio dello Stato-nazione; dall’altro occorre misurarsi col fatto che il processo elettorale (più che il partito), puó essere tatticamente usato all’interno dello Stato-nazione per democratizzarlo e decentrarlo. Fondamentale in questo senso è contrastare il processo patriarcale che pervade la società attraverso il protagonismo delle donne che possono contribuire ad allargare la dinamica partecipativa.  

Comunalismo: pratiche sociali comuni sui territori

Nelle elezioni del 2025 nelle Marche e in Calabria ha votato la metà degli aventi diritto. È una tendenza generale. Chiunque vinca rappresenterà poco più di 1/4 della popolazione.  Chi si è astenuto ha dato un segnale politico di rottura che deve essere analizzato al di fuori della semplice retorica della passivizzazione delle masse. Si è rotto infatti il sistema di integrazione con lo Stato che era svolto dai partiti elettorali di massa e a soggetti intermedi. Questa rottura non si risanerà dato che lo Stato stesso ha oramai svuotato il senso, seppur apparente, della democrazia borghese.

Se non si costruirà una nuova ideologia politica e morale in grado di sviluppare l’azione collettiva fuori da questi meccanismi non solo il processo autoritario continuerà a crescere e lo Stato diventerà sempre meno democratico ma ogni fermento di resistenza ad esso sarà svuotato e perderà di forza.

Questo avviene sia perché viene represso ogni tentativo radicale di rottura sistemica oppure, perché integrato nel processo che esso stesso contesta. Il paradosso è che votare oggi vuol dire sempre più legittimare una democrazia vuota, all’interno della quale chi controlla i media, la finanza e le sacche di voto clientelari è in grado di orientare,  nella maggior parte dei casi, l’esito del voto. 

È lecito pensare, tuttavia, che il terreno elettorale rimanga ancora praticabile, ed è probabile che si sviluppino forze antagoniste che riescano a inserirsi dentro le fratture sociali che si sono aperte. Con queste forze occorrerà comunque lavorare cooperando su pratiche sociali comuni con spirito unitario, ma solo se con generosità queste si metteranno a disposizione della società e della sua direzione politica come avvenuto con il movimento sviluppato con la Palestina.

Aver pensato e continuare a pensare però che la politica sia solo elezioni dentro lo Stato rimane ancora oggi il limite più grande della sinistra italiana ed europea.

Limite che prima o poi la trasformazione storica obbligherà ad affrontare.

È necessario pertanto in questa fase

concentrarci sul livello municipale come esercizio di direzione politica diretta tra il partito della società Organizzata e le istituzioni dello Stato.

Gli altri livelli amministrativi dello Stato, regionali, nazionali, sono oramai ben difficili da modificare, dato che, l’impasto stesso dello Stato, con la sua burocrazia e procedure giuridiche, rimane in piedi anche se cambiano i governi al servizio del capitale.

Lo Stato-nazione, infatti, ha sviluppato nel corso dei secoli una capacità pervasiva estremamente efficace per integrare il corpo sociale nella sua logica di dominio, plasmando tutti noi ad aderire alla sua forma, ai suoi tempi, alla sua logica che si riverbera in un modello politico di organizzazione della società piramidale che sembra essere l’unico possibile.

Non sarà facile uscirne fuori in una società a sviluppo capitalistico avanzato come la nostra, ma davanti all’incapacità delle sinistre storiche (socialdemocratiche o rivoluzionarie) di risolvere i problemi sociali, occorre saper percorrere strade nuove.

Il nuovo internazionalismo

Il movimento al quale stiamo assistendo di solidarietà con la popolazione di Gaza, è nato dal basso e ha dimostrato che la direzione politica può essere esercitata anche Senza i partiti elettorali o i sindacati integrati nella burocrazia Statale. Pone con forza il tema della radicalità delle pratiche nel territorio attraverso i blocchi, è capace di costruire solidarietà internazionale, smaschera il volto degli Stati-nazione. Pur essendo legato ad una singola istanza esso ha come metodo la capacità di divenire un processo costituente in grado di frapporsi alla guerra contro l’umanità che gli Stati-nazione portano avanti nella logica di dominio.

La vicenda palestinese e l’abbandono di un popolo da parte di tutti gli Stati-nazione ci dice che l’unica risposta che possiamo sviluppare è basata su un terreno che lega azione diretta, mutualità e solidarietà internazionale;

un processo cooperativo in grado di rompere gli argini non solo rispetto al tema delle manifestazioni e dei blocchi ma anche rispetto alla quotidianità della vita. Inoltre, la vicenda della Global Sumud Flottiglia è stata in grado di costruire un posizionamento a livello globale in grado di aggregare forze sociali consistenti che hanno messo lo Stato israeliano ed i suoi complici con le spalle al muro. 

Dovremmo chiederci però come sia possibile che milioni scioperiamo e poi, il lunedì andiamo a fare spesa e comperiamo prodotti di aziende coinvolte nel genocidio.

Pensate se quel milione di persone che abbiamo visto scendere in piazza a Roma, avesse la possibilità di avere una propria economia in cui acquistare prodotti diversi. Che non siano macchiati di genocidio. Dallo sfruttamento. Dalla devastazione ambientale. Forse dovremmo costruire il nostro tempo, che si sviluppa tra una manifestazione ed uno sciopero, che costruisce nel quotidiano società ed economia del bene comune.

Ragionare di come costruire economia del bene comune è quindi ragionare di organizzazione della società, saper discutere ed affrontare i problemi che questo esercizio comporta.

Costruire cooperative di comunità, spacci popolari ed empori, welfare dal basso, logistica condivisa, utilizzo sociale della terra, porsi il tema della produzione anziché chiedere le briciole ai padroni del mondo è una impresa enorme.

Sono le pratiche sociali di solidarietà, e l’azione diretta la nostra forza più grande, ed è su queste che si aggrega il conflitto e l’indignazione. La vicenda della Global Sumud Flotilla dimostra questo. Occorre, però, costruire un’organizzazione che vada in questa direzione, che sviluppi cooperazione tra diversi anziché competizione tipica del processo liberista e superi la frammentazione territoriale in cui siamo inseriti. Molto abbiamo da costruire ma una Strada si è aperta.


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