Violenza patriarcale, la moltitudine delle lotte
Per convergere in un’unica, immensa rivoluzione.
Le origini della violenza patriarcale e della cultura dello stupro possono essere riscontrare nella genesi stessa della società umana. Lo psicologo italiano Roberto Sicuteri, all’interno del saggio “Lilith e la luna nera”, ripercorre la mitologia della figura di Lilith, prima moglie di Adamo e come lui nata dalla terra, nelle più antiche versioni bibliche, nella tradizione sumerica-accadica, nella tradizione egizia, nel Medioevo e nella cultura occidentale contemporanea.
Lilith è divenuta un simbolo fondamentale della lotta contro la cultura dello stupro in quanto, secondo varie scritture, fu la prima donna ad opporsi al dominio maschile - sessuale e di ruolo - e ad essere punita tramite l’esilio e la dannazione eterna.
Lilith è la radice della ribellione al patriarcato, della dissidenza femminile, della stregoneria. “L'amore di Adamo per Lilith, dunque, è presto turbato; quando essi si congiungevano nella carne [...] Lilith mostrava insofferenza. Così domandava ad Adamo: [...]: -Perché essere soverchiata da te? Eppure anch'io sono stata fatta di polvere e quindi sono tua uguale-. Ella chiede cioè di invertire le posizioni sessuali per stabilire una parità, un'armonia che deve significare l'uguaglianza fra i due corpi e le due anime. [...] Adamo risponde con un rifiuto netto: Lilith è a lui assoggettata, ella deve stare simbolicamente sotto di lui, subire il suo corpo. Dunque: c'è un imperativo, un ordine che non è lecito trasgredire. La donna non accetta questa imposizione e si ribella ad Adamo”. (Sicuteri, 1980, pp: 29-31).
Joumana Haddad, scrittrice, poetessa, giornalista e attivista libanese, nel suo libro “Il ritorno di Lilith” scrive:
“Io non mi sono sottomessa. Io, la prima, mai soddisfatta, perché sono comunione completa, il compimento e il compiuto, la ribelle giammai consenziente. Ne avevo abbastanza di Adamo e ne avevo abbastanza del paradiso. Mi sono stancata, ho negato, ho disobbedito. [...] Invano hanno cercato di domarmi.” (Haddad, 2009, pp: 6-7).”
In Occidente, la discussione rispetto alla cultura dello stupro entra a far parte dello scenario collettivo a partire dagli anni 60 del 900’, durante la seconda ondata del movimento femminista statunitense. Mentre la prima ondata femminista si era concentrata sulla parità di diritti, come quello di voto, tra persone socializzate come uomini e persone socializzate come donne, questa seconda fase del movimento ha messo al centro il corpo, il diritto all’aborto, il diritto ad una sessualità femminile libera e sicura. All’interno di questa cornice, il tema della violenza maschile - e di come contrastarla - inizia ad essere prioritario. Tuttavia, la seconda ondata femminista occidentale è stata caratterizzata da una visione binaria transescludente delle soggettività e del genere, e si è focalizzata sull’esperienza di persone socializzate come donne bianche, eterosessuali, cisgender e borghesi. Grazie ai moti di Stonewall del 1969 e alla formazione di movimenti quali Black Power e Black Panthers, durante gli anni 90 si è creata la terza ondata femminista, che ha messo al centro il concetto di intersezionalità. Nel 1989, la giurista e attivista Kimberlé Crenshaw ha coniato questo termine con l’intento di sottolineare l’esistenza di innumerevoli identità sociali, alle quali sono legate altrettante possibili oppressioni. È diventato dunque imprescindibile l’analisi di come la violenza maschile etero-cis impatti l’esistenza non solo della donna bianca borghese, ma anche delle persone socializzate come donne queer, razzializzate, sex workers, lavoratrici, disabili, tossicodipententi o con sofferenza psichiatrica.