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Aprile 27, 2022
BLACKNESS

Non si può parlare di nerezza ignorando il tema della classe sociale

La voce di Ariam Tekle, intervistata da Sara Manisera, FADA Collective

Blackn[è]ss fest è il primo festival in Italia che propone una rielaborazione dell'universo afrodiscendente. Eventi e tavole rotonde per riflettere sul concetto di nerezza, secondo un percorso di decolonizzazione del linguaggio e per discutere di temi come gli effetti sulla salute mentale della profilazione razziale, la discriminazione, il razzismo ma anche la musica, il cinema, i media e la rappresentazione. 

Voice Over Foundation ha scelto di accompagnare il festival in questo percorso e di raccontarlo per tutto l'anno, attraverso le voci di chi ne è protagonista.

Intervista a Ariam Tekle, regista, sociologa, co-ideatrice del podcast Blackcoffee e del festival Blackness. 


D: Come ti chiami, ci puoi dire chi sei e cosa fai? 

R: Sono Ariam Tekle, sono una sociologa e una regista italo-eritrea. Sono nata e cresciuta a Milano. Mi sono laureata in Relazioni Internazionali e nel 2015 ho completato un Master in Sociologia e Antropologia a Bruxelles. Sono una delle ideatrici, insieme ad Emmanuelle Maréchal, di Blackcoffee, il podcast italiano senza filtri sulle identità nere e del festival Blackn[è]ss. 

D: Parliamo della seconda edizione del Festival. Su cosa sarà, ci sono già delle date e quale sarà il tema?

R: Sì, abbiamo delle date: dal 23 al 25 settembre 2022. Il Festival sarà sempre organizzato da Blackcoffee in collaborazione con Kirykou. Abbiamo una scaletta che è stata sviluppata in base all'esperienza della prima edizione e abbiamo deciso di approfondire gli argomenti dei tavoli di discussione che erano piuttosto generici. A differenza dell'anno scorso, nella seconda edizione vogliamo mantenere gli stessi temi, ma dare loro spazi più ampi di discussione, in modo da sviscerarne le varie sfumature. Ad esempio, mi viene in mente il tavolo della musica: quest'anno amplieremo questo tema, esplorandone i generi che più interessano gli artisti e le artiste razzializzate. Un altro esempio è quello del tavolo sulla profilazione razziale e gli effetti sulla salute mentale di chi la subisce. Quest'ultimo è un tema molto difficile da trattare e su cui riflettere, anche a causa della mancanza di dati disponibili. Vogliamo dare spazio a tutte le complessità relative a questi temi che le persone razzializzate affrontano giornalmente. 

D: Avete già scelto il tema più approfondito che sarà discusso all'interno del tavolo salute mentale? 

R: Dal momento che vogliamo discutere più approfonditamente il tema, i relatori che ne parleranno baseranno i propri panels sulla loro esperienza personale e sulle loro competenze. Ad esempio, Ronke Oluwadare parlerà della sua esperienza di psicoterapeuta nera in una società bianca. Ariman Scriba invece tratterà l'uso di farmaci e le loro implicazioni tramite la sua sfera personale, dal momento che è testimone di una vicenda che la tocca molto da vicino. Riguardando la scaletta, mi sono accorta che c'è un tema di sottofondo, che lega tutti gli argomenti: la classe sociale di ognuno di noi. Dobbiamo ancora elaborarlo al meglio perché parlare di classe non è semplice, dal momento che spesso è una sola, soprattutto quando si tratta di cultura o arte. Invece con il festival, tutti gli artisti che parteciperanno arrivano da contesti e classi diversi. Sarà molto importante vedere la partecipazione di persone con background più simili al mio, provenienti dalle classi popolari... Questa è stata una piccola soddisfazione personale. Ad esempio, prima ti ho citato il tema della musica: avranno uno spazio la musica classica, il rap e il discorso sulle periferie e il clubbing dagli anni '90 ad oggi. Oppure, un altro tema interessante a riguardo sarà quello relativo alla "rappresentazione, visibilità e mercificazione del corpo nero". 

D: In effetti, oggi c'è quasi una costruzione di un brand intorno al concetto di nerezza... 

R: Infatti la mia riflessione personale riguarda come riuscire a usufruire della visibilità del festival senza però dannegiarne la causa. Quando ci sono realtà che coinvolgono persone razzializzate e queste ultime vengono pagate da un'azienda perché essa venga rappresentata, ben venga. Ma l'importante è che si crei un'alternativa al riconoscimento di quel tipo di istituzione. Io rappresento quell'azienda non per il riconoscimento che mi dà, ma perchè vengo pagata adeguatamente e perchè sopravvivo di quello. Blacknèss parte proprio da questo presupposto: creare un'alternativa ai riconoscimenti istituzionalizzati. 

D: Quindi spiegati meglio, perché nasce Blackn[è]ss? 

R: Da un lato per poter connettere i membri di diverse realtà, già esistenti da generazioni sul territorio, e che fanno e dicono cose simili tra loro, ma che hanno difficoltà ad incontrarsi. Ad esempio, da quando è partita la campagna "#CambieRai", la rete ha visto un incremento di connessioni molto forte, sia su Milano che sul resto d'Italia. Data la consapevolezza che queste realtà esistono, abbiamo deciso di provare a rendere pubbliche le loro conversazioni. È una crescita in un percorso non solo individuale ma anche in forma collettiva. Dall'altro lato, è nato come una necessità di avere uno spazio safe, ma aperto. Ho percepito che mancasse un evento che rimanesse aperto ma che non scendesse a compromessi con il linguaggio e i temi che volevamo usare e discutere. Sono diversi anni che esistono tanti eventi istituzionalizzati che mettono a disposizione spazi e temi inclusivi cercando di coinvolgere persone razzializzate. Blackn[è]ss è un'alternativa ad essi, con l'obiettivo di conoscersi e riconoscersi. 

D: Quali sono le vostre aspettative per quest'anno? 

R: In realtà, come l'anno scorso, ci siamo buttati nell'organizzazione del festival senza avere aspettative. Anzi, in realtà non vuole essere un evento inflazionato, a cui partecipano troppe persone, giusto per il gusto di divertirsi. Certo, ci saranno i djset e momenti leggeri di divertimento, come l'anno scorso. Ma abbiamo anche bisogno di momenti di silenzio e riflessione su ciò che si discuterà ai tavoli, e la prima edizione è stata una conferma. Infatti, quando abbiamo discusso i budget dell'evento, non siamo andati alla ricerca di sponsorizzazioni. Ci tengo a non cadere in errori che potrebbero danneggiare il senso del festival. E a questo proposito, anche la scaletta e il senso della scaletta hanno la priorità su tutta l'organizzazione. Anche in questo senso cerco di non fare errori e per questo è fondamentale il confronto con altre persone intorno a me, perché lo scambio con gli altri è fondamentale. Ci sono esperienze che io non ho vissuto, temi che ho iniziato ad esplorare da relativamente poco. Quindi il confronto e il contributo di altre persone - sia del team di Blackn[è]ss ma non solo - nella programmazione è veramente fondamentale. Inoltre, mi piacerebbe che arrivasse più gente da fuori Milano, ma dipende dai nostri fondi. A proposito di questi ultimi, mi sembra scontato dire che ci teniamo che nessuno dei nostri lavoratori venga sfruttato, vogliamo dare i giusti compensi a tutti anche se non siamo un'azienda che fattura. Vogliamo superare la normalizzazione del pagamento in visibilità o esperienza, perché non ne condividiamo i valori. 

D: C'è qualche sorpresa che ci puoi svelare? O qualche nome dei partecipanti?

R: Vogliamo dare più spazio alla musica. Come l'anno scorso ci sarà il concerto di Omar Gabriel Delnevo, pianista e compositore, ma quest'anno sarà un concerto a due mani insieme a Ian Ssali anche lui pianista di musica classica. Ma non posso svelare troppo... La cosa che fa sempre piacere dire è che chi viene contattato è felice di partecipare, e sottolinea la sua esigenza di connettersi, confrontarsi e riconoscersi tra di noi. 

D: Credi che la classe sia un elemento centrale del festival, e, più in generale, del vostro percorso in quanto persone razzializzate? 

R: Sì, perchè è evidente che non si possa parlare di nerezza o accessibilità ignorando che il tema di fondo sia quello della classe. Se si omettesse, sarebbe un discorso incompleto e fine a se stesso. Diventa quella situazione di compromesso, in cui ad esempio le aziende sposano una causa sociale senza toccare il tema della classe: non lo fanno perché diventa controproducente. Al festival, se non fosse menzionato questo tema, si cadrebbe nella semplice conversazione, e si rischia di trasformare tutto in marketing, di far vedere la nerezza come un brand. Come il fatto, ad esempio, che oggi vada di moda la parola "inclusività".


Photo credits: Giulia Frigieri

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