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roy
Novembre 10, 2022
BLACKNESS

Con le parole prendi sempre una posizione: la musica, il rap. Ma lasciateci essere artisti!

La voce di Roy Raheem, intervistato da Sara Manisera, FADA Collective

Blackn[è]ss fest è il primo festival in Italia che propone una rielaborazione dell'universo afrodiscendente. Eventi e tavole rotonde per riflettere sul concetto di nerezza, secondo un percorso di decolonizzazione del linguaggio e per discutere di temi come gli effetti sulla salute mentale della profilazione razziale, la discriminazione, il razzismo ma anche la musica, il cinema, i media e la rappresentazione. 

Voice Over Foundation ha scelto di accompagnare il festival in questo percorso e di raccontarlo per tutto l'anno, attraverso le voci di chi ne è protagonista.

Intervista a Roy Raheem, rapper e artista.


D: Come ti chiami, ci puoi dire chi sei e cosa fai? 

R: Sono Roy Raheem, all'anagrafe Sadiq Marco Oladipupo, sono un artista, nato in Veneto ma vivo a Milano da circa cinque anni. Mi sono spostato a Milano per la musica e per il lavoro da modello. Tristemente Milano è l'unico posto dove riesci a lavorare con queste cose. Faccio musica da un po' e in qualche modo fare musica non può non essere politica perché con le parole prendi sempre una posizione

D: Quando hai incontrato la musica? C'è qualcuno/a o qualcosa che ti hanno portato a incontrare la musica? 

R: Inizia tutto per caso, da una partita a basket alle scuoli superiori. Giocando con classi diverse, avevo notato un ragazzo vestito con l'abbigliamento hip-hop. All'epoca ascoltavo rap ma non mi era mai passato in mente di farlo. Lui si avvicina a me e mi dice "secondo me tu dovresti rappare". Nella scuola che frequentavamo eravamo gli unici due a fare rap. C'eravamo riconosciuti da lontano e da quel momento abbiamo iniziato a registrare insieme le canzoni in uno studietto che aveva in casa. Lui poi si è fermato ma io sono andato avanti ma ancora lavoriamo insieme con altri ruoli.  

D: Chi sono gli artisti e le artiste che ti hanno ispirato? 

R: In primis, i capisaldi Jay-Z, 2Pac, Biggy, Nas, tutti rapper che avevano l'attitudine da gangster ma avevano comunque quella parte "conscious" e soprattutto soul. C'era sempre un messaggio o almeno una certa vibrazione che volevano far arrivare; e poi Erykah Badu, Lauryn Hill, Micheal Jackson. 

D: Tu unisci vari generi, beat, suoni. Perché? 

R: Arrivo dal rap classico, quello degli anni 2000 poi andando a Londra e girando in Inghilterra un po' il suono è cambiato. È sempre stato rap-hip hop ma con altre influenze. Poi, devo ammettere che ho sempre ascoltato molto rock, l'heavy metal... Diciamo che il rap è stato il mezzo. Non so neanche se è corretto parlare di generi: se c'è un tempo e si può rappare per me va bene. Molte delle cose che scrivo le faccio senza base. La base arriva dopo. 

D: Come avviene il processo creativo? 

R: Io ho diverse fasi. Quella dove sono in giro, passeggio, sono in metro e rifletto su un concetto, su un pensiero, sulle parole. Quando sono a casa, invece, nella mia stanza, provo le basi e piano piano prende forma la canzone. 

D: Perché sei andato via? Sei uno dei tanti che ha scelto di andare via ma a un certo punto sei tornato. Perchè? 

R: Ho lasciato l'Italia appena ho finito la scuola perché non avevo un lavoro, non riuscivo a trovare niente e poi volevo farmi un curriculum e qualche esperienza fuori. Poco prima di partire avevo rilasciato il mio primo album con i ragazzi della mia zona in Veneto ed era andato abbastanza bene. Quindi ho vissuto questa cosa di dover scappare a Londra per il lavoro materiale, tralasciando un po' la musica e l'album, anche perché all'epoca c'erano meno mezzi, meno ascolti. È stata una situazione sofferta. E sono tornato, diciamo, per la musica. Quando ero a Londra tutti mi dicevano "scrivi in inglese" ma io volevo farlo in italiano e per fortuna ho preso questa decisione. 

D: Ci siamo conosciuti al Blackn[è]ss fest. Nel tuo intervento con Lina Simons avete detto molte cose. Lina per esempio ha detto "lasciateci fare solo gli artisti" ma al tempo stesso l'arte e la musica servono anche come forma di veicolo di un messaggio politico. Tu cosa ne pensi? È così? Ne senti il bisogno?

R: Sono d'accordo con Lina, lasciateci fare gli artisti. Ho notato spesso che le persone che mi chiedevano il feat, volevano che facessimo il pezzo sul razzismo e a me ha dato un po' fastidio dopo un po' perché era come se ti relegassero in una scatola. Tu sei quello e devi parlare di quello. È una cosa che mi infastidisce e per questo nei miei primi lavori ho evitato di parlare di razzismo, anche solo di dire la parola razzismo. Io vengo dal Veneto, quindi è una situazione strana. C'è sicuramente un'eredità leghista ma io non credo che ci credano davvero. Penso che si siano automatizzati. In generale, soprattutto nella musica, non volevo che fossi relegato solo a quello. Allo stesso tempo, penso che il messaggio sia importante da dare. Nella canzone "Come LVI", prendo in giro i loro stereotipi, le loro cazzate e per me quello è un modo intelligente di protestare. Non mi sto lamentando, mi sto divertendo. Sto facendo la mia musica, le mie canzoni e sto veicolando in modo intelligente un messaggio, attraverso la provocazione. 

D: Roy di 10 anni fa. E Roy di oggi. Quanto sei cambiato? 

R: Come artista sono contento perché il Roy di 10 anni fa non avrebbe mai fatto e scritto le cose su cui sto lavorando oggi. Diciamo che ho anche imparato a conoscere di più la mia voce, quindi ho imparato anche a conoscere più me stesso. A livello personale, ho perso un po' di istinto e di spericolatezza che avevo prima.. ero davvero una testa calda! 

D: Parliamo sempre di diritti. Essere artista indipendente. Cosa vuol dire? E con chi collabori? 

R: Essere indipendenti vuol dire che un po' devi saper fare tutto o almeno farti un'idea generale di qual è la filiera. Internet è un'arma a doppio taglio. Da una parte hai più visibilità, dall'altra ogni giorno ci sono persone che creano contenuti. Sono molto istintivo e seguo il mio umore, in genere scambio brani e idee con un mio amico, ci lavoriamo a più riprese e poi porto tutto a un altro mio amico per la fase di finalizzazione. Mi piacciono diversi mood e generi, quindi lavoro con diverse persone che mi danno stimoli tutti diversi. Quindi per me un pezzo è il frutto del lavoro di tante persone. Con il gruppo Equipe 54, il nostro metodo è ritrovarsi in una stanza e fare tutto insieme. Dalla scrittura alla melodia, al concetto. Mi piace anche scrivere molto. Dipende sempre dal progetto e da cosa vuoi esprimere. 

D: Sogni e progetti nel cassetto (se si possono dire). 

R: Vorrei poter continuare a lavorare con persone e artisti che fanno parte della mia rete. C'è un album in lavorazione che uscirà a breve e diciamo che quello che uscirà si potrà definire nuovo blues. 


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