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outdoar manifesto
Giugno 01, 2023
Giustizia Climatica

Reimmaginare la montagna oltre lo sfruttamento e il consumo: la voce di Outdoor Manifesto

Approfondimento di Michela Grasso, SPAGHETTIPOLITICS

Il 3 Luglio 2022, una slavina di ghiaccio e detriti si è improvvisamente staccata dal ghiacciaio della Marmolada, uccidendo undici persone. La settimana seguente, alcuni giornali hanno dedicato diversi articoli alla situazione disastrosa dei ghiacciai italiani. L’attenzione per la degradazione dei ghiacciai ha avuto breve durata e, a distanza di pochi giorni, la notizia e gli approfondimenti si sono spostati dalle prime pagine dei notiziari alle ultime. L’assenza di attenzione per la salvaguardia delle montagne da parte della politica tradizionale, la decisione di proseguire con la costruzione degli impianti per le Olimpiadi Milano Cortina 2026 e il silenzio sui 96.840.000 di m³ d’acqua (equivalenti al consumo annuo d’acqua di un milione di persone) utilizzati per produrre neve finta nel 2022, fanno pensare che la situazione montana sia drasticamente migliorata. 

Dalle montagne, dipende il futuro dell’umanità: il 60-80% delle risorse di acqua sorgente del pianeta proviene dalle terre alte, acqua utilizzata per l’agricoltura e la produzione di energia sostenibile. Nonostante la loro importanza per la sopravvivenza umana, le montagne passano spesso in secondo piano nel dibattito sulla crisi climatica in Italia. Tuttavia, un numero crescente di attivisti sta iniziando a portarle al centro del dibattito pubblico. «Mi sono reso conto per la prima volta della portata della crisi climatica verso la fine dei miei vent’anni. Era un periodo in cui si iniziava a sentire parlare di riscaldamento globale, ma l’argomento era largamente ignorato», racconta a Voice Over Foundation Luca Albrisi, fondatore di Outdoor Manifesto, «Ero sul ghiacciaio del Presena, dove ero stato dieci anni prima per il corso maestri di sci, e lí ho avuto un momento di shock, rendendomi conto che il ghiacciaio si era praticamente dimezzato». 

A inizio maggio 2023, l’Ufficio Piste della Provincia Autonoma di Trento ha chiesto “Una modifica della classificazione della pista Presena da pista rossa a nera” a causa dello scioglimento sempre più accelerato del ghiacciaio. Nonostante la copertura del ghiacciaio con teli geotessili, per proteggerlo dai raggi solari, la sua area continua a diminuire, a ritmi mai registrati in precedenza. 

Luca Albrisi, 41 anni, vive in Trentino da più di vent’anni. Nato e cresciuto a Milano, si è appassionato alla montagna fin da piccolo e, finite le superiori, si è lasciato la città alle spalle. Oggi vive in Val di Sole, dove si occupa di documentaristica e attivismo. Nel 2019, è stato tra i primi firmatari di Outdoor Manifesto, un manifesto nato dalla necessità di cambiare radicalmente la nostra relazione con le montagne per proteggerle, «Outdoor Manifesto è nato dalla percezione che ci fosse un muro tra le comunità outdoor e la consapevolezza delle problematiche ambientali legate alle loro attività. Con esperienze outdoor intendo un range di attività, dall'alpinismo estremo, allo snowboard, ma anche alla camminata in montagna. Spesso, nella comunità outdoor, ci si focalizza sulla performance, dimenticandosi dell’aspetto ambientale. Per noi fondatori di Outdoor Manifesto le attività outdoor portano a una maggior consapevolezza e appartenenza nei confronti dell’ambiente, mettono al centro una visione biocentrica e permettono di ridimensionare sè stessi di fronte alla grandezza della montagna».

Outdoor Manifesto è un'associazione che si impegna a portare queste tematiche nel mondo della comunità outdoor. Il 12 Marzo 2023, Outdoor Manifesto ha organizzato una serie di mobilitazioni in montagna in diverse zone d’Italia, per riflettere sulla necessità di re-immaginare l’inverno. «Per superare determinate sovrastrutture mentali e economiche serve un enorme sforzo di re-immaginazione», spiega Luca, «Siamo abituati a vedere il turismo e lo sfruttamento della montagna come unica fonte di sostentamento per le comunità montane. Non si riesce a comprendere che questo modello ormai è fallimentare, per ragioni sociali, ambientali ed economiche. Per questo bisogna fare uno sforzo collettivo per re-immaginare l’inverno e il nostro rapporto con la montagna».

Durante la stagione invernale 2022, la richiesta di neve artificiale per innevare le piste da sci è aumentata, e si stima che nei prossimi anni la domanda d’acqua per soddisfare il bisogno di neve artificiale possa aumentare dal 50% al 110% a seconda della zona. L’acqua utilizzata viene presa direttamente dai torrenti, danneggiando l’ecosistema e riducendo la fornitura di acqua potabile. Inoltre, la costruzione di bacini idrici e impianti di innevamento artificiale, porta a significative modifiche ambientali che impattano la flora e la fauna montana. Reimmaginare l’inverno in un’ottica lontana da quella del consumismo e dello sfruttamento della montagna per profitto e divertimento, significa garantire la sopravvivenza di ecosistemi fragili

«Noi non siamo “contro gli impianti”», spiega Luca, «Siamo contro la costruzione di nuovi impianti, e crediamo che quelli già presenti possano essere migliorati per essere sostenibili. Spesso si parla di come gli impianti sciistici offrono lavoro alle comunità montane, quando in realtà la maggior parte delle volte si tratta di aggiungerne uno a una serie di impianti già esistenti, dando lavoro a poche persone in più, senza pensare al fatto che tra qualche anno questi lavori non esisteranno più. In una valle alpina, dove le temperature continuano ad alzarsi e dove le riserve d’acqua diminuiranno, i bacini idrici per la neve artificiale verranno in secondo piano rispetto a quelli per l’agricoltura, e allora sarà difficile continuare a sciare come oggi. A me interessa capire come far funzionare una montagna in maniera sostenibile, e questo implica cambiare radicalmente la nostra prospettiva. Costruire nuovi impianti sciistici in questo momento non ha senso».

In Italia ci sono 249 impianti sciistici dismessi, scheletri abbandonati nel mezzo del paesaggio alpino e appenninico, un’immagine che sembra arrivare direttamente da un futuro distopico. Sono tutti mappati nel report di Legambiente "Neve diversa, il turismo invernale nell’era della crisi climatica” (2023), un necrologio di tempi non troppo lontani, creature di ferro dalla vita breve, costruite spesso prima degli anni ‘90, quando la voglia di fare profitto e mangiarsi la montagna metteva in secondo piano la deturpazione del territorio. Ci sono tre skilift ad Alberola in Liguria, costruiti nel 1972 e chiusi nel 2005 per mancanza di neve; una teleferica a Scerscen in provincia di Sondrio, costruita nel 1986 per lo sci alpino estivo sul ghiacciaio Scerscen, chiusa meno di 10 anni dopo, nel 1993, per mancanza di neve e profitti; c'è persino uno skilift sull’Etna, costruito nel 2004 e mai entrato in funzione, anche questo a causa dell’assenza di neve. In aggiunta agli impianti dismessi, ci sono anche quelli temporaneamente chiusi: 138 in tutto il paese. In totale 387 seggiovie, skilift, hotel, teleferiche etc.. la cui costruzione ha deturpato e segnato il territorio in maniera permanente, abbandonati dopo pochi anni, a volte senza essere nemmeno mai stati usati

«Quest’anno, dopo molto tempo, ho trascorso una giornata a sciare con gli impianti», racconta a Voice Over Foundation Adele Zaini, 26 anni, attivista di Fridays for Future e tra le fondatrici di United Mountains of Europe, «Mi sono resa conto di quanto gli impianti sciistici siano delle ferite per la montagna: lingue di bianco, precise e perfette, nel mezzo di boschi per natura irregolari». 

Adele, nata e cresciuta a Milano, si è da poco laureata in fisica per il clima, e vuole dedicare la sua vita e i suoi sforzi alla salvaguardia delle montagne. La sua passione è nata nella sua infanzia, nei racconti di sua mamma dei grandi alpinisti, sulle grandi pareti. «Tutti i miei valori, principi, il mio modo di vivere e vedere il mondo, me li ha insegnati la montagna. La fatica, l’adrenalina, la paura, la rinuncia, la possibilità di capire cosa sia necessario e cosa sia superfluo. La montagna toglie dagli occhi il velo del consumismo, spoglia i bisogni fino all’essenziale. Quello che si impara in montagna, si porta a casa».

Adele racconta che, nelle sue esperienze in montagna, ha potuto conoscere diversi modelli alternativi a quelli consumistici e distruttivi per l’ambiente, «In val di Rabbi, in Trentino, esistono dei percorsi sensoriali e esperienziali che attraversano i boschi, da svolgere in silenzio, per trovare una connessione con la natura circostante». La casa del Parco Adamello, in provincia di Brescia, è un altro esempio alternativo, uno spazio “di incontro e confronto sulla cultura della montagna, uno spazio di promozione territoriale dove costruire percorsi di valorizzazione del potenziale e delle risorse locali”, come descritto sul loro sito. Alla Casa del Parco Adamello vengono organizzati incontri, escursioni, ritrovi, con al centro la volontà di distaccarsi dalla monocoltura sciistica che caratterizza le montagne italiane. Le alternative ci sono, come le dieci menzionate nel rapporto di Legambiente, che racconta i cambiamenti virtuosi attuati da diverse comunità montane. Da chi ha scelto di vietare le salite in rifugio in motoslitta, come ha fatto il rifugio Dibona a Cortina d’Ampezzo, a chi ha deciso di puntare sulle ciaspole invece degli sci, come nel Parco Naturale Regionale del Beigua.

Il modello consumeristico lascia dietro di sé comunità sempre più vuote, ecosistemi distrutti, rifiuti e scheletri di un tempo passato, ferite difficili da rimarginare. Mentre la montagna muta inevitabilmente, si fatica a cambiare approccio al turismo e al rapporto tra uomo e natura. Si fatica a immaginare un’Italia, dove si può visitare l’Etna, l'Appennino o le Alpi, senza necessariamente deturpare l’ambiente. «Ridefinire il nostro rapporto con la montagna, significa ridefinire il significato di avventura», conclude Adele. Re-immaginare l’inverno oltre al modello capitalista, basato sulla crescita infinita e sul profitto facile, significa re-immaginare il nostro futuro e il nostro rapporto con la natura. Non più un rapporto di dominio, dove l’essere umano cerca l’illusione di poter piegare la natura alla sua volontà, ma un rapporto di apprendimento, di cura, di comunità. 


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