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Febbraio 18, 2023
Giustizia Climatica

I costi esterni della crisi climatica devono essere pagati dalle multinazionali petrolifere, non dai cittadin*

Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective

Una delle più grandi compagnie petrolifere del mondo - la statunitense ExxonMobil - aveva previsto, già negli anni '70, un aumento della temperatura globale. Secondo i ricercatori che hanno analizzato i dati contenuti nei documenti interni dell'azienda - come riportano il The Guardian e la BBC lo scorso gennaio - la compagnia petrolifera sapeva che la combustione dei combustibili fossili avrebbe riscaldato il pianeta. 

La compagnia - raggiunta dai media anglosassoni - nega. Un atteggiamento classico, ben raccontato anche dalla giornalista Stella Levantesi nel libro I bugiardi del clima, Ed. Laterza. Per decenni le multinazionali del petrolio hanno negato il legame tra combustibili fossili e riscaldamento climatico. Non solo. Hanno pagato milioni di dollari in attività di lobby, hanno costruito false narrazioni e manipolato la realtà dei fatti. Come spiega alla BBC Naomi Oreskes, professoressa di storia della scienza all'università di Harvard: "I risultati dimostrano la forte ipocrisia dei dirigenti della ExxonMobil che erano al corrente del lavoro che i loro scienziati stavano svolgendo e avevano accesso a queste informazioni privilegiate, mentre a noi dicevano che i modelli climatici erano una fesseria"

In questi decenni, le major companies del settore oil&gas come Exxon Mobil, TotalEnergies, BP, ENI, Shell, Repsol, hanno guadagnato miliardi vendendo combustibili fossili, responsabili dell'emissione di gas serra che hanno accelerato il riscaldamento globale e la crisi climatica in corso.

Di fatto, in tutti questi anni, mentre le compagnie continuavano a portare avanti il business as usual, una parte dei loro costi ed esternalità negative sono stati scaricati interamente sulla società e sui cittadini, sull'ambiente e sulla salute. 

In altre parole, gli sversamenti di petrolio, l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo, gli impatti sulla salute di chi vive accanto ai pozzi petroliferi, alle raffinerie o in quelle che si potrebbero definire le "periferie degli idrocarburi", sono stati e saranno interamente pagati dai cittadini e dalle future generazioni. 

Come scrivono Léa Pham Van e Gerard Rijk, autori del rapporto "Big oil europeo. La grande responsabilità in termini di emissioni di carbonio, inquinamento e costi sanitari", pubblicato ad aprile 2022, "dal 1993 si sono verificati diversi grandi eventi di fuoriuscita di petrolio che possono essere collegati alle compagnie petrolifere europee. Questi hanno provocato danni per 59 miliardi di euro. A questi costi si aggiungono i costi dell'inquinamento ambientale che non sono stati pagati dalle Big Oil europee e che non hanno ricevuto l'attenzione dei media: attraverso cause giudiziarie, ad esempio, le Big Oil sono state in grado di far ricadere questi costi sui governi, sulla popolazione e sull'ambiente. Per il periodo 1993-2020, questi costi non pagati in termini di inquinamento sono stimati per 11,1 miliardi di euro, ma non includono le grandi esternalità, come i costi della deforestazione o l'impatto sulle popolazioni indigene gravemente colpite dalle attività delle multinazionali del petrolio". 

Se è vero che le aziende hanno pagato le imposte sulle società - benché molte di esse siano registrate in Paesi con regimi fiscali vantaggiosi, vedi ad es. Eni nei Paesi Bassi - tutta una serie di esternalità negative sono interamente pagate dai cittadini. A partire dai costi indiretti sulla salute e sull'ambiente.

E se è vero che viviamo in società sempre più energivore, è altresì vero che gli impianti per le rinnovabili sono pochi. Da decenni la politica ha coscientemente scelto di non investire in rinnovabili, preferendo mantenere legami tossici con dittature e regimi per importare gas e petrolio. 

Scelte così importanti - come la pianificazione energetica - richiedono una politica visionaria capace di pianificare nel medio e nel lungo termine. E richiedono cittadini e cittadine attive e informate, capaci di comprendere dinamiche locali (aumento dei prezzi della benzina, ad esempio) collegate a dinamiche globali (accordi con Egitto, Algeria, Iraq etc.). 

Ecco perché abbiamo bisogno di una stampa libera, non finanziata dalle multinazionali del petrolio e abbiamo bisogno di portare al centro del dibattito pubblico la discussione sui costi sociali e ambientali indiretti di un sistema economico che li scarica sui cittadini. Non ci possiamo più permettere di far continuare il business as usual. 

È giunto il tempo di iniziare a immaginarsi un sistema che faccia pagare a chi inquina questi costi. E che premi, al contrario, le imprese virtuose che tengono insieme sostenibilità sociale e ambientale. Cento anni fa era impensabile un'Europa unita con delle regole condivise. Perché non possiamo immaginarci un sistema giuridico internazionale che protegga il pianeta e che dia delle regole a queste grandi corporations? Oggi è impensabile ma serve immaginare l’impensabile affinché si faccia concretezza domani. 





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