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gaza
Dicembre 15, 2023
DIRITTI UMANI

Ipotesi di genocidio? Luci e ombre del diritto internazionale, intervista a Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati

La voce di Francesca Albanese, intervistata da Michela Grasso e Chiara Pedrocchi


D: Ciao Francesca, ti va di (ri)presentarti per chi non avesse visto l’ultima live che abbiamo fatto insieme e di raccontarci un po’ che cosa significa essere Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati?

R: Il mio ruolo consiste nel relazionare sulla situazione dei diritti umani in Israele e nel territorio palestinese occupato dal 1967 da Israele: la striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, dove vivono circa 4-5 milioni di palestinesi senza cittadinanza e senza diritti. Questo incarico mi è stato dato dal Consiglio dei Diritti Umani a maggio 2022.


D: È uscito #Fuoriscena il tuo libro-testimonianza in conversazione con Christian Elia, dal titolo “J’accuse. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra”. Sappiamo che avete cominciato a lavorarci a maggio scorso, quando l'attenzione sulla questione "israelo-palestinese" era prossima allo zero. Vuoi dirci qualcosa di più di questa pubblicazione? 

R: Questo libro è stato pensato qualche mese fa come parte di una nuova linea editoriale di RCS fuoriscena, un editore molto coraggioso che mi ha chiesto di parlare di Palestina, senza le difficoltà che spesso si incontrano in Italia, dove si capisce pochissimo di quello che sta succedendo perché manca un contesto di riferimento. L’editore mi ha chiesto di parlare di questo contesto e di raccontarlo tramite la mia esperienza personale. Il lavoro è stato poi accelerato dagli eventi del 7 Ottobre, lanciandoci nel presente. Il libro parte proprio da questo presente per raccontare la Palestina in una conversazione con Christian Elia, dove ragioniamo su vari temi: il 7 ottobre, il terrorismo, Hamas, il progetto coloniale israeliano, il sistema di apartheid che ha trasformato il territorio palestinese in una polveriera e tanto altro. Il titolo è stato scelto dall’editore prendendo spunto da un articolo della filosofa Roberta Monticelli, autrice della postfazione del libro, in cui raccontava il mio impegno come un “J’accuse”. Come Zola, negli anni ‘40, accusava la società di razzismo e antisemitismo così oggi questo libro vuole essere una simile chiamata di allarme e denuncia verso chi non permette che emerga la verità.


D: Qual è il ruolo in questo contesto del diritto internazionale? Che cosa può fare effettivamente per fermare quello che sta succedendo?

R: Il diritto internazionale è uno strumento importantissimo e molto potente in situazioni come questa. Il problema è che sta ai singoli Stati farlo applicare; purtroppo nelle dinamiche internazionali spesso prevale la legge del più forte. Per esempio, nel conflitto tra Russia e Ucraina, l'Occidente è rimasto coeso nel condannare le illegalità e le violenze compiute dalla Russia, il che ha permesso l’introduzione di misure economiche, diplomatiche e politiche per danneggiare la Russia. Questi sono gli strumenti che il diritto internazionale può impiegare nel momento in cui viene violato. Tutto questo non c'è nei confronti dello Stato di Israele perché viene protetto da Stati che si considerano suoi alleati. In realtà questo atteggiamento sta peggiorando la situazione. L'odio creatosi nei confronti dei palestinesi, l'odio a cui sono state educate intere generazioni di israeliani è talmente radicato da aver lanciato il paese in una fortissima crisi in cui si invoca l'uccisione di tutte le persone a Gaza e la cacciata di tutti quei palestinesi che non vogliono abbandonare le proprie case.


D: Pensi che la tregua in corso si possa estendere? Cosa succederà quando tutto questo sarà finito?
 
R: Secondo me la tregua si deve estendere e trasformare in un cessate il fuoco permanente. In primo luogo ad oggi (27 novemebre 23 ndr) a Gaza sono morte oltre 16.000 persone, tra cui 7000 bambini, senza contare le migliaia di persone sotto le macerie. Gaza è ridotta alla rovina,  il 50% delle infrastrutture è stato distrutto, ci vorranno anni se non decenni per ricostruirla. A cosa è servito? Qual è l'esito militare di questa campagna di 50 giorni che ha messo in ginocchio la popolazione palestinese di Gaza? Non c'è stato un vero vantaggio, non si capisce quanto Hamas sia stato indebolito, anzi, sembra che il consenso sia aumentato. I combattimenti si devono fermare ma è importante che ci sia una presa di posizione da parte della comunità internazionale. L'unico modo per evitare che la situazione peggiori ancora di più è garantire diritti a tutti quelli che vivono tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, compresi i palestinesi. Questo può avvenire in diversi modi nella forma di due Stati o uno.   Nel primo caso significa ritirare le truppe israeliane dalla Cisgiordania, cessare l’annessione di Gerusalemme e di gran parte della Cisgiordania e togliere l’assedio di Gaza. Inoltre, bisognerebbe disporre di una presenza internazionale che si occupi di peace keeping e della protezione tanto dei palestinesi quanto degli israeliani.

 
D: In questi giorni vediamo continuamente immagini di piazze piene di persone in difesa dei diritti dei palestinesi, eppure i governi continuano, nei fatti, a supportare Israele: come è possibile un tale scollamento tra l’opinione pubblica e le scelte politiche?  

R: C’è uno scollamento molto forte, ancora più evidente in paesi come Italia, Francia o Inghilterra. Per non parlare poi degli Stati Uniti, dove sono gli ebrei americani a guidare questa rivolta contro lo status quo, e contro una politica che si dimostra totalmente amorale. Di fronte a tutte queste morti, come si può continuare a parlare di legittima difesa? Bisogna far capire ai governi che non viviamo in dittature ma in democrazie, e si deve rispondere alla volontà del popolo. Il popolo deve farsi sentire in questo momento perché non c'è solo in gioco la vita, l'esistenza, la dignità del popolo palestinese ma anche la libertà di espressione, la libertà di associazione, il diritto a protestare nei paesi occidentali. Da tempo si parla di “Palestinizzazione” e “Israelizzazione” delle società occidentali; chi chi critica Israele viene tacciato di antisemitismo, di sostenere il terrorismo o di essere affiliato ad Hamas senza alcuna prova. Bisogna schierarsi contro tutto questo, perché è un abuso anche nei confronti dei cittadini e delle cittadine europee.



D: In questo periodo diversi tuoi interventi pubblici sono diventati virali sui social. Quali sono le domande che vorresti che i giornalisti facessero agli intervistati e a loro stessi quando parlano di Palestina e Israele?

R: Intanto vorrei che i giornalisti si informassero. Il giornalismo con cui io mi sono confrontata nelle ultime settimane, soprattutto occidentale, è fatto di pregiudizi e di veri e propri plotoni di esecuzione. In tante interviste, la prima domanda che mi è stata posta è stata “Condanni Hamas?”. Sì, lo condanno. Dietro a questa domanda, c’è un tono accusatorio che porta il dibattito sulla piega della faziosità. C’è anche una differenza tra la carta stampata e i palinsesti televisivi ma l'elemento comune è la de umanizzazione dei palestinesi. Degli ostaggi israeliani si sapevano  nomi, cognomi, età, dove vivevano, quali canzoni ascoltavano, se n'è parlato molto, ed è giusto che sia così e che si possa empatizzare con le vittime. Questo non succede con i palestinesi: quasi nessuno sapeva che, solo nei 18 mesi precedenti al 7 ottobre, fossero stati uccisi 460 civili. Nè si sapeva della presenza di migliaia di palestinesi in carcere senza capo d’accusa e senza processo. Di questo si tace, non si umanizzano le vittime palestinesi… Per non parlare della pura follia propagandistica delle televisioni italiane in cui vengono chiamati ospiti non esperti. Io mi sono trovata ospite di trasmissioni in cui venivano dette fandonie e non c'era modo di fermarle. Se ci fosse un dibattito informato, io potrei arricchirlo con una prospettiva legale. Invece mi trovo a dover fare delle  correzioni.


D: Che media consigli per informarsi sulla situazione in Palestina?
 
R: In Italia ci sono Pagine Esteri e il Manifesto, due pubblicazioni che, sulla Palestina, hanno sempre fatto un'ottima informazione indipendente grazie a giornalisti bravissimi come Michele Giorgio e Chiara Cruciati. Anche il Fatto Quotidiano e FanPage hanno iniziato ad impegnarsi maggiormente per coprire la questione in maniera dignitosa. Per le informazioni più complete in inglese c’è poi Al Jazeera che ha sempre coperto la situazione in Palestina con serietà.


D: Oltre a scendere in piazza per manifestare, ci sono azioni che possiamo compiere come cittadini per opporci a quello che sta succedendo? Il boicottaggio è una buona soluzione? Ce ne sono altre?
 
R: È molto importante fare pressione alla stampa. Si deve inoltre scrivere ai politici, metodo molto diffuso nei paesi anglosassoni dove si sente il vincolo di mandato, ovvero la responsabilità nei confronti degli elettori. Il movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele,  BDS invece, è un movimento nato da una decisione della Corte di giustizia internazionale che prevede sanzioni economiche, politiche e diplomatiche nei confronti di uno Stato inottemperante del diritto internazionale. Poiché Israele non si conforma al diritto internazionale, BDS porta avanti misure come quella del boicottaggio e delle sanzioni economiche. Ciò che vorrei ricordare, soprattutto ai più giovani è che l’apartheid sudafricana non è finita perché il governo sudafricano è diventato virtuoso o perché sono diventati virtuosi gli Stati membri delle Nazioni Unite. Anzi, Stati come Israele o la Gran Bretagna hanno difeso e mantenuto rapporti con il Sudafrica fino a tardi. È stata la gente a far cambiare il corso della storia. Come? Proprio con boicottaggi e sanzioni, perché nel momento in cui il Sudafrica venne colpito dal punto di vista economico cominciò il declino della classe politica, della classe dirigente bianca. Chiaramente le situazioni non sono uguali, gli ebrei israeliani sono stati indottrinati a danno dei palestinesi, c’è molta disinformazione, un’educazione alla diffidenza e all’odio nei confronti dell’altro (a questo proposito consiglio di leggere i libri di Nurit Peled Elhanan, una professoressa israeliana che ha studiato a lungo la questione dei palestinesi nei testi di scuola per gli israeliani). Un’altra azione importantissima è proprio quella di istruirsi, rimanere al corrente di ciò che succede, continuare a parlare e fare rumore.


D: Dove trovi la forza di continuare a parlare di Palestina anche di fronte agli attacchi che ricevi?

R: Io mi sono formata in un’Italia dove c'era una forte educazione all'antisemitismo, alla Shoah. Sono cresciuta con un senso di vergogna, perché il mio paese  aveva mandato a morire i propri concittadini e concittadine in quanto ebrei. Come dice Moni Ovadia, ci si affida alla sensibilità nel riconoscere l'ebreo nell'altro, perché l'ebreo è stato perseguitato e discriminato in Europa per secoli e quel processo di de umanizzazione ha permesso il loro genocidio ma  il genocidio non è un atto, è un processo. Proprio perché  sono stata educata a riconoscere l'ebreo nell'altro, la persona discriminata, la persona che diventa vittima nella società, così riconosco quelli che sono vittime di discriminazione e mi sento naturalmente vicina. Mi colpisce molto l'isolamento dei palestinesi. sono soli di fronte a una potenza come quella di Israele e hanno anche contro la maggior parte delle potenze occidentali.  Nonostante questo resistono perché vogliono vivere. Questo mi dà la forza. Ricevo spesso attacchi, anche personali, ma li vedo come tattiche per deflettere l’attenzione da ciò che dico.


 D: È plausibile che civili palestinesi abbiano perso lo status di persona protetta previsto dalla quarta Convenzione di Ginevra, nel momento in cui Israele sostiene che vi sia la presenza di palestinesi armati tra i civili? Si può davvero parlare di scudi umani?
 
R: Già nel 2009, durante la prima guerra scatenata da  Israele contro la Striscia di Gaza, il rapporto di una commissione d'inchiesta concluse che la presenza di combattenti militari in zone altamente popolate come Gaza non trasforma la popolazione in uno scudo umano. Dire che tutti i palestinesi sono scudi umani è un elemento di de umanizzazione perchè il palestinese viene presentato come qualcuno disposto a mettere a rischio la vita dei propri figli pur di proteggere Hamas a Gaza. È anche importante ribadire che se ci fossero state delle elezioni a Gaza il 6 Ottobre, Hamas avrebbe ricevuto ben poco supporto. È necessario fare una distinzione quando c’è uno scontro tra combattenti e non combattenti e questi ultimi non si toccano, e questo vale per entrambe le parti, anche un soldato israeliano non in servizio deve essere considerato come un civile Inoltre, questo discorso ha privato i palestinesi dello status di persona protetta, di civili. Siccome loro abitano in zone dove c’è Hamas, allora non vengono contati come civili. Anche la presenza di tunnel sotto la Striscia di Gaza non giustifica il bombardamento massiccio della Striscia né dovrebbe far perdere lo stato di civili né agli oggetti, cioè gli ospedali, le case, le scuole, le moschee, né tantomeno alle persone. Gli esempi di scudi umani che ho visto sono i bambini palestinesi caricati sul Jeep dell'esercito israeliano oppure un detenuto palestinese, incappucciato, con le mani legate, piazzato all'interno di un'area in cui c'erano sparatorie tra militanti palestinesi e soldati israeliani.


D: Quale terminologia consigli per definire il conflitto iniziato il 7 ottobre?
 
R: Gli eventi del 7 ottobre possono essere definiti crimini di guerra. Secondo il diritto internazionale infatti, uccidere civili, ferirli o prenderli  come ostaggi è un crimine di guerra. E ciò che Israele ha fatto in risposta è un abuso al diritto internazionale per due motivi: innanzitutto perché Israele ha invocato il diritto all'autodifesa, che ogni Stato ha riconosciuto dall'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, ovvero il diritto a fare la guerra e di attaccare militarmente. Ma Israele non ha questo diritto nei confronti dei palestinesi, perché i palestinesi non sono uno Stato indipendente, sono un paese o un popolo sotto occupazione militare da 56 anni. Ci sono state anche delle decisioni specifiche, tra cui una della Corte di Giustizia Internazionale che riconosce i pericoli con i quali Israele si confronta che provengono dal territorio occupato, ma contro di essi non si  può invocare il diritto all'autodifesa. C'è stata, quindi, una violazione gravissima avallata da tutti i Paesi occidentali. Per non parlare della violazione di principi di proporzionalità e di precauzione per cui è necessario che ogni operazione militare abbia un vantaggio strategico militare e soprattutto non si deve tradurre  in perdite dal punto di vista umano e di danni alle infrastrutture tali da soverchiare il vantaggio militare che se ne trarrebbe. Oltre ai crimini di guerra, ci sono anche una serie di crimini contro l'umanità, per esempio il blocco dell'accesso di medicinali, cibo e acqua nel momento in cui la popolazione è stata bombardata a tappeto, il bombardamento di scuole delle Nazioni Unite in cui si sapeva ci fossero dei bambini, o di campi di rifugiati.


D: Si può utilizzare la terminologia “genocidio” per descrivere quello che sta succedendo a Gaza? Che differenza c’è con il termine pulizia etnica?

R: Il genocidio è un crimine molto grave e difficile da provare perché bisogna dimostrare l'intento di distruggere un determinato gruppo di persone che si identificano su base nazionale, etnica, religiosa o razziale, in tutto o in parte. La distruzione può avvenire, attraverso l'uccisione o la  creazione di condizioni di vita impossibili o tramite l'inflizione di una sofferenza fisica o psicologica.  Questi atti non devono essere tutti presenti per delineare un genocidio, ne basta anche uno sostenuto dall'intento, quindi dal dolo di voler distruggere la popolazione. In questo momento ci sono le dichiarazioni dei generali dell’esercito, ci sono i fatti: sono state ammazzate 16.000 persone in breve tempo. Le prove, con gli elementi che abbiamo, condurrebbero a investigare l'ipotesi di genocidio. Proprio ora sto studiando per collegare l’intento del genocidio alle parole di chi era in comando durante le violenze compiute, perchè un conto è se lo dice una persona per strada, un conto è se lo esprime chi era a capo dell’esercito.  Pulizia etnica è un termine diverso, non è un concetto legale, mentre il genocidio è un crimine previsto da una Convenzione del 1948, la pulizia etnica è un concetto un po’ più vago,  ma che incorpora in sé  crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Indica una politica volta a rimuovere una parte di un gruppo, o un gruppo intero da un determinato territorio, per sostituirlo con persone di un altro gruppo. Nella pulizia etnica ci sono degli elementi criminali, come lo sfollamento forzato,  l'uccisione dei membri del gruppo, talvolta anche il genocidio fa parte della pulizia etnica come nel caso della Bosnia e poi ci sono genocidi senza la pulizia etnica come nel caso del Ruanda. Secondo me, in Palestina c'è una pulizia etnica da 75 anni, iniziata nel 1949 quando vennero scacciati 750.000 palestinesi, e nel 1967 quando Israele ha occupato la CisGiordania, Gaza e Gerusalemme Est scacciando 350.000 anime palestinesi senza mai farle ritornare. Quello che sta succedendo a Gaza rischia di essere la più grande pulizia etnica dal 1949, o da sempre, perché Israele minaccia di respingere nel Sinai due milioni di persone.



D: Hai  timore che adesso cali l'attenzione sui giornali o sui social media?

R: L'orrore che si è raggiunto questa volta ha scioccato tutti e sento tanti dire che non riescono a non pensare a quello che vedono. E io li capisco, perché avendo vissuto già diverse guerre di Gaza da spettatrice senza una voce, capisco quel senso di impotenza, quel senso di paralisi, quel tormento che porta quasi a non riuscire a godersi cose banali della propria vita come abbracciare i propri figli o godersi un pasto caldo, perché pensi a questi poveracci che senza aver fatto niente improvvisamente si trovano in situazioni di puro orrore. A Gaza è stata ammazzata 1 persona su 100, questa è una violenza incredibile, sono state bombardate migliaia di casa e la maggior parte delle persone ha perso tutto. Non penso che calerà facilmente l'attenzione perchè l’orrore a cui stiamo assistendo è fuori dal normale e sta portando tantissime persone a empatizzare e immedesimarsi nel popolo palestinese. 



Editing di Sara Manisera

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