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iraq
Ottobre 13, 2021
Giustizia Sociale

UN ALTRO IRAQ È POSSIBILE: PERCHÉ SOSTENIAMO I GIOVANI IN IRAQ

Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective

Quando nelle piazze irachene ad ottobre 2019, echeggiava lo slogan "Un altro Iraq è possibile", immediatamente quelle parole hanno riportato al forum sociale mondiale di Porto Alegre del 2001 (Un altro mondo è possibile), al G8 di Genova e alle lotte di migliaia di donne e uomini che volevano costruire un altro mondo e chiedevano alle potenze globali e ai loro governi un'altra globalizzazione. Sono passati vent'anni dal 2001, un anno significativo, attraversato da due eventi traumatici: il vertice del G8 di Genova, dal 19 al 22 luglio 2001 e l'attentato alle Torri Gemelle l'11 settembre. Due eventi apparentemente lontani, diversi che hanno segnato un prima e un dopo e che, guardati vent'anni dopo, dimostrano che da lì e passata la storia.

Ciò che è successo negli ultimi vent'anni ha rivelato, infatti, che quei giovani nelle piazze di Genova avevano ragione. Avevano ragione a volere un'altra economia, un altro modello di sviluppo, di globalizzazione che mettesse al centro i diritti. Il tema del summit di Genova del 2001, dove erano riunite le potenze più ricche - Canada, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Russia, Giappone, Italia, Germania e Unione Europea - era "sconfiggere la povertà". E cioè, era scritto nei comunicati ufficiali, «individuare misure atte a sostenere l'economia dei paesi più fragili secondo una strategia integrata, specie per quanto riguarda commercio e investimenti sociali»

In realtà, come aveva evidenziato e denunciato il movimento No Global riunitosi nel 1999 a Seattle, le politiche economiche occidentali considerate liberiste erano responsabili di ingiustizie e insopportabili diseguaglianze tra Nord e Sud del mondo. Il movimento chiedeva la cancellazione del debito per i Paesi del Sud del mondo, si batteva contro la globalizzazione dei mercati accusata di cancellare peculiarità e differenze dei singoli paesi, chiedeva l'istituzione della Tobin Tax, la tassa sugli scambi di valuta pensata per limitare le speculazioni e ridistribuire le ricchezze, e auspicava una tutela globale dell'ambiente. Chiedeva l'abolizione dei paradisi fiscali, sosteneva i diritti dei lavoratori, la parità salariale di genere.

In Italia il movimento no global diede vita al Genoa Social Forum, che si costituì proprio per preparare la piattaforma di rivendicazioni e richieste in vista del G8 del 2001. Ma quelle rivendicazioni furono duramente represse nel sangue e fu messa in atto una strategia della tensione che portò alla morte del 23enne Carlo Giuliani, al ferimento di migliaia di manifestanti e alle torture di centinaia di persone inermi nella caserma di Genova Bolzaneto e nella scuola Diaz

Tra i leader politici presenti al summit c'era George W. Bush,  presidente degli Stati Uniti, che aveva battuto il Democratico Al Gore, dopo un'elezione contestatissima, decisa per uno scarto inferiore ai 2.000 voti. Tra le sue prime mosse da presidente ci fu il rifiuto di aderire al protocollo di Kyoto, che prevedeva la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, a cui avevano già aderito 40 paesi. C'era Silvio Berlusconi divenuto presidente l'11 giugno 2001, in un governo come nel 1994, con Alleanza Nazionale, l'ex Movimento Sociale Italiano, e quindi l'area ex fascista. C'era Vladimir Putin, presidente russo, e in Gran Bretagna Tony Blair che aveva spostato a destra il Labour britannico introducendo il concetto di "Terza Via", con le sue politiche liberiste in economia.

Perché è importante ricordare questi nomi e questi fatti? Perché il G8 di Genova e il successivo attentato alle Torri Gemelle hanno plasmato gli ultimi vent'anni, sia in termini di partecipazione democratica, sia per quanto riguarda la stabilità e la pace in Medio Oriente. Dopo l'11 settembre, la politica estera degli Stati Uniti e dell'Unione Europea è stata riformulata identificando nuovi pericoli che giustificassero il mantenimento degli sforzi militari all'estero. Se prima della caduta del muro di Berlino la minaccia alla sicurezza nazionale era incarnata dal comunismo, nel 2001 i nuovi nemici sono diventati Iraq, Afghanistan, Iran e, più in generale, l'islam, accostato viziosamente al terrorismo. Le scelte di George W. Bush e Tony Blair - con l'appoggio anche dell'Italia- di invadere prima l'Afghanistan e poi l'Iraq sono state giustificate con la scusa di proteggere la sicurezza nazionale. 

Per giustificare l'intervento militare in Iraq ad esempio, l'intelligence americana ha collezionato una vasto materiale probatorio per ottenere il consenso internazionale e della propria opinione pubblica, basato su informazioni dimostratesi poi false: la presenza di armi di distruzione di massa che minacciavano la sicurezza degli Stati Uniti, l'oppressione del popolo iracheno e l'esistenza di un pericolo per il mondo intero. 

L'opinione pubblica internazionale, dunque, è stata distratta da questi nuovi "nemici", mentre la finanza globale e politiche neoliberiste hanno acuito le diseguaglianze economiche e sociali, accrescendo lo sfruttamento delle risorse naturali e delle popolazioni indigene locali. 

Ciò che è accaduto negli ultimi vent'anni in Medio Oriente - e in Iraq - ha dimostrato che le piazze di Porto Alegre, di Genova, e di Roma nel 2003, dove oltre un milione di persone scese in piazza per dire "No alla guerra", avevano ragione. Dal 2003, l'Iraq, infatti, ha subito un intervento militare, l'insorgenza sunnita contro il governo centrale e le forze americane, una guerra civile, l'occupazione di un terzo del paese da parte dell'organizzazione jihadista Daesh e una "liberazione" che ha causato decine di migliaia di vittime civili. A ciò si aggiunge la presenza costante di milizie armate filo-iraniane che reprimono le proteste dei giovani iracheni. 

Ecco perché Voice Over Foundation ha scelto di sostenere i giovani in Iraq. Perché crediamo che sia giusto offrire a quei giovani, nati e cresciuti a cavallo tra il 2003, e quindi privati di diritti, la possibilità di costruirsi il proprio futuro.

Voice Over Foundation ha scelto di supportare il progetto Officine di Pace. Un progetto, nato grazie all'ONG Un Ponte Per, attiva dal 1991 nel Paese, dove giovani iracheni e irachene di diverse culture, religioni e etnie possono condividere insieme esperienze, fare sport, realizzare attività di volontariato per le proprie comunità e costruire insieme un altro Iraq, libero dalla violenza e dai conflitti fra le diverse etnie che lo popolano. 

Se la politica avesse ascoltato i giovani scesi in piazza nel 2001, non ci troveremmo oggi a raccogliere i cocci e le macerie di scelte scellerate dettate da logiche puramente economiche e bellicistiche. Ecco perché crediamo sia fondamentale ascoltare e supportare i giovani in Iraq. Perché a vent'anni di distanza, migliaia di attivisti e attiviste, difensori dei diritti umani,  giornalisti/e, avvocati e in generale le voci più libere e nonviolente continuano ad essere minacciate o uccise per rivendicare diritti fondamentali, come il diritto all'acqua, alla sanità pubblica o alla libertà di espressione. 

Ed è in questo contesto che Voice Over Foundation ha scelto di esserci, per affiancare i giovani e le giovani irachene che lottano per rivendicare un futuro migliore.


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