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Luglio 07, 2021
Giustizia Sociale

SENZA GIUSTIZIA SOCIALE, NON PUÒ ESSERCI GIUSTIZIA AMBIENTALE

Approfondimento di Sara Manisera, FADA Collective

Le pandemie hanno sempre costretto gli esseri umani a rompere con il passato e a immaginare il loro mondo da capo. Questa non è diversa. È un portale, un cancello tra un mondo e un altro.

Possiamo scegliere di attraversarlo trascinandoci dietro le carcasse del nostro odio, dei nostri pregiudizi, l'avidità, le nostre banche dati, le nostre vecchie idee, i nostri fiumi morti e cieli fumosi.

Oppure possiamo attraversarlo con un bagaglio più leggero, pronti a immaginare un mondo diverso.

E a lottare per averlo.

Arundhati Roy, aprile 2020

 

Se è vero che la pandemia ha colpito tutto il mondo, è altrettanto innegabile che essa ha colpito in maniera più violenta i paesi più poveri e i poveri dei paesi ricchi. Lo stesso ragionamento può essere applicato per le altre emergenze, legate al clima e all'ambiente, che saremo costretti ad affrontare nei prossimi decenni. A pagare il prezzo più alto della crisi ambientale e/o sanitaria saranno determinate comunità, paesi e territori, dove già esistono forme di vulnerabilità sociale, di disuguaglianza, di esclusione e di disagio. 

 

Un recente studio intitolato Global warming has increased global economic inequality, pubblicato nell'aprile del 2019 dall'Università di Stanford e realizzato da Noah S. Diffenbaugh e Marshall Burke evidenzia proprio la relazione tra riscaldamento globale e diseguaglianza. Anche se la diseguaglianza tra i paesi è diminuita nell'ultimo mezzo secolo, il riscaldamento globale ha rallentato questa diminuzione e, cita lo studio, "oltre a non condividere equamente i benefici diretti dell'uso dei combustibili fossili, molti paesi poveri sono stati significativamente danneggiati in termini di crescita dal riscaldamento derivante dal consumo energetico dei paesi ricchi". 

 

Anche il Water, Peace and Security (WPS), ha presentato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU uno strumento di allerta globale che incrocia i dati ambientali - come le precipitazioni e le siccità - e le variabili socio-economiche per prevedere potenziali conflitti e tensioni, perché - come sottolinea l'istituto, finanziato dal governo olandese, "sono i paesi e le comunità già più vulnerabili a pagare il prezzo della crisi ambientale e della scarsità di risorse idriche nel breve e medio termine e ciò si traduce in tensioni e conflitti". 

 

Quando parliamo di un determinato territorio o comunità, è inoltre importante tenere a mente che essi non sono omogenei, il che significa che anche all'interno di una comunità, i suoi membri possono essere colpiti in modo diverso in base al loro reddito, al genere, all'orientamento sessuale e al proprio gruppo etnico-confessionale di appartenenza. 

 

Non tutte le popolazioni hanno la stessa capacità di adattarsi quando sono minacciate da una pandemia o dalle ingiustizie ambientali e dai problemi correlati, come l'aumento delle maree, la siccità, le tempeste, l'inquinamento atmosferico, il che può allargare il divario delle diseguaglianze sociali. E ciò fortifica i gruppi che nella società sono già in posizioni più potenti poiché le loro possibilità di sopravvivenza nelle stesse circostanze sono più alte grazie alle risorse a loro disposizione. In molti casi, inoltre, le comunità emarginate non hanno abbastanza opportunità per far sentire la propria voce.

 

Lo abbiamo visto con la pandemia e con la crisi ambientale. A pagare sono principalmente le donne, le minoranze, i poveri, le persone nelle carceri, i bambini senza strumenti tecnologici, gli abitanti dei quartieri più popolari o delle aree interne. Ecco perché è fondamentale unire la giustizia sociale e la giustizia ambientale. 

 

Se osserviamo l'Italia, chi vive nelle periferie, sovraffollate e cresciute in maniera caotica, povere di servizi, di spazi di socializzazione e di qualità ambientale soffre tanto quanto chi vive nelle aree interne del Paese. In questi luoghi le persone non hanno l'accesso alle stesse opportunità di benessere e ai diritti di cittadinanza e sono esposte ai rischi ambientali maggiori. Perché vivono in case meno efficienti da un punto di vista energetico e di comfort abitativo, in territori meno manutenuti e meno dotati di servizi di prossimità, come ospedali o scuole. 

 

"Se sovrapponessimo la mappa del disagio insediativo urbano e delle aree interne con quella della disoccupazione, della dispersione e dell'abbandono scolastico e della povertà educativa vedremmo il filo rosso che lega la qualità ambientale e la marginalità sociale. Il sentimento che accomuna queste realtà è quello di essere abbandonate a se stesse, con una conseguente reazione di incattivimento e di mancanza di proiezione verso il futuro. Questi luoghi dove si intrecciano ingiustizia sociale e ambientale devono essere le nuove frontiere di impegno", scriveva nel 2019 Vanessa Pelucchi, vicepresidente nazionale di Legambiente. 

 

Anche per Greenpeace, la giustizia ambientale, quella sociale e quella razziale sono indissolubilmente legate una all'altra. "Non possiamo avere un futuro verde e pacifico senza la giustizia razziale, l'equità, i diritti civili per tutti. Crediamo che i sistemi di potere e di privilegio che distruggono l'ambiente privino anche le comunità vulnerabili della loro umanità, e troppo spesso della loro vita. Ecco perché prendiamo posizione. Ecco perché agiamo. Ed è per questo che continueremo a farlo per tutto il tempo necessario a creare il futuro in cui crediamo. Le persone nere dovrebbero essere in grado di camminare in qualsiasi quartiere, guidare per qualsiasi strada e lavorare ovunque senza la minaccia di essere uccisi dalla polizia". 

Gli interventi per garantire la giustizia ambientale, pertanto, devono avere come fine la giustizia sociale e quella razziale e ciò significa pensare ad interventi che garantiscano più diritti, più scuole, più ospedali, un reddito minimo universale, più inclusione e più redistribuzione della ricchezza. Il rischio, altrimenti, è che gli interventi per la giustizia ambientale non siano socialmente accettabili e che siano pagati da chi già vive ai margini. "Non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali", scriveva Don Lorenzo Milani nel suo "Lettera a una professoressa". Ecco comprendere che i "Gianni" - i figli dei contadini e degli operai - sono più svantaggiati rispetto ai "Pierini" - i figli dei benestanti - è la condizione basilare affinché si possa costruire un nuovo mondo, tenendo insieme giustizia sociale e ambientale.


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