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super ricchi
Ottobre 14, 2022
Giustizia Sociale

Se esiste una minoranza tutelata nel mondo, questa è quella dei super ricchi

Approfondimento di Alessandro Sahebi

Di loro si comincia a parlare, a discutere, a polemizzare. Di loro si sa poco e male. Ma soprattutto non si sa bene chi siano. Cosa vuol dire "essere ricco"? 


I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri devono accontentarsi delle loro briciole e subìre gli effetti materiali e immateriali (1) della scarsità. Dagli anni Ottanta in poi, con la sconfitta storica del socialismo reale in Unione Sovietica (e di quello democratico in Europa), il sistema di pensiero neoliberale non ha trovato più alcun ostacolo alla sua avanzata, arrivando a colonizzare le nostre menti e naturalizzandosi fino ad essere diventato, più per convinzione collettiva che per realtà, l'unico sistema apparentemente percorribile

Tra le convinzioni più diffuse affermatesi in questi quarant'anni vi è sicuramente quella che ritiene la ricchezza come un valore assoluto. Assoluto ha radice nel latino ab solutus, ovvero sciolto da ogni vincolo, e così la ricchezza ad oggi non conosce alcun vincolo morale alla sua crescita: si ritiene che chi è ricco se lo meriti pienamente e che, grazie alle sue doti, a sgocciolamento, redistribuirà la ricchezza investendo e generando profitti.

Dei ricchi e della problematicità della ricchezza si comincia a parlare da poco tempo, di loro si sa poco e male. Ma, soprattutto, non si sa bene chi siano. 

Cosa significhi essere ricco, del resto, non è dato a sapersi, mancando a questa parola una definizione univoca. 


Essere ricco, cosa significa?

Colui che possiede denari, beni, sostanze e in genere mezzi di sussistenza in misura maggiore di quanto occorra per vivere in modo normale. Teoricamente, almeno secondo la definizione dell'enciclopedia Treccani, ricco è chiunque possa accedere ad uno stile di vita materiale e immateriale mediamente superiore alla media, potendo usufruire dei privilegi del superfluo. 

Una definizione non precisa ma chiara, che rischia di essere tuttavia pericolosa: in questa equazione rientrerebbero infatti, nello stesso calderone, gli inquilini di un trilocale a Milano che possono permettersi di andare in vacanza una volta all'anno e, allo stesso tempo e sotto lo stesso cappello linguistico, il ricchissimo patron di Amazon Jeff Bezos. Se quasi tutti siamo ricchi (soprattutto se consideriamo lo stile di vita occidentale rispetto al Sud del mondo), allora nessuno è ricco. 

Da quando hai iniziato a leggere questo testo Bezos ha incrementato la propria ricchezza di circa 300mila euro, quello che, con una grossolana media, - se hai la fortuna di avere un lavoro e uno stipendio - guadagnerai in circa 10 anni di lavoro. 

C'è una differenza dunque abissale tra benestanti e super ricchi e no, non è solo una questione di vil denaro.


Il potere dei super ricchi

In un sistema in cui potere economico coincide con potere politico, la ricchezza è innanzitutto una questione di potere. Se pochi individui concentrano nelle proprie mani troppa ricchezza, accentrando il potere in modo squilibrato, allora si arriva a negare il principio stesso di democrazia. 

Possedere un'ingente ricchezza significa poter operare attività di lobbying sui rappresentanti dell'elettorato, definendo un maggior peso nei processi decisionali. Significa avere gli strumenti per eludere i sistemi fiscali del proprio Paese, magari cambiando cittadinanza o sede della propria azienda. Significa poter avere influenza o possedere i mezzi di produzione informativa e culturale, come giornali e televisioni, imponendo alla propria nazione forme di egemonia culturale. In quest'ottica l'abitudine di chiamare oligarchi i super ricchi è sana, dovrebbe essere forse allargata anche in Occidente.

Come ha scritto nel 2013 l'economista francese Thomas Piketty (2), esiste anche nelle società meno disuguali un mondo a parte costituito dal 10% più ricco della popolazione. I più ricchi in una nazione hanno uno stile di vita e una socialità esclusiva fatta di autosegregazione (3) e raramente hanno contatti profondi con il resto della popolazione. Persino la misurazione delle loro ricchezze è approssimativa, come ha dovuto ammettere, anche l'economista Branko Milanovic, che sostiene come redditi e patrimoni dei paperoni del mondo siano sistematicamente sottostimati dalle stime ufficiali.  

Eppure, se vogliamo proseguire con metodo, anche tra il 10% della popolazione più ricca deve essere operata una distinzione: sempre secondo Piketty esiste una differenza abissale tra il top 1% e i restanti 9 percentili dell'apice della piramide. I primi sono i super ricchi, i secondi la classe agiata. 


L'1% più ricco

In centile superiore, l'1% più ricco della popolazione costituisce una minoranza sociale potente e in grado di costruire una rete di classe in grado di proteggersi e legittimarsi. Secondo la psicologa sociale Chiara Volpato "i fenomeni di individualizzazione e progressivo egoismo [tipici del mondo occidentale e delle classi inferiori, ndr] non sembrano lambire le élites, anzi la classe dei grandi ricchi pare essere oggi l'unica sopravvissuta in quanto classe, perché è la sola ad aver conservato una precisa coscienza di sé come gruppo sociale caratterizzato da confini e precisi interessi collettivi". 

Secondo i dati del The Wealth Report di Knight Frank, per comprendere chi appartiene all'1%, è necessario considerare la residenza fiscale del cittadino preso a riferimento. Per un residente nel Principato di Monaco che vuole entrare nel top 1% della ricchezza è necessario un patrimonio di quasi 8 milioni di dollari. Per un russo, provenendo da una nazione mediamente più povera, ne basterebbero 400mila dollari. Un italiano con un patrimonio di 1,4 milioni di dollari rientrerebbe nella categoria dei paperoni del Paese. 

In un Paese di 57 milioni di abitanti come il nostro, considerando la popolazione adulta, circa 470mila individui detengono dunque in media più di 1,4 milioni di euro in ricchezza. 

Ad essere ancora più raffinati, Piketty riconosce una terza differenziazione: all'interno dell'1% si può considerare lo 0,1% più ricco (grossolanamente coloro che definiamo miliardari). Ancora più ricchezza, ancora più potere, ancora più ingiustizie. 


La legittimazione meritocratica

La narrazione dominante è scritta dai dominatori. Se esiste una minoranza tutelata nel mondo, questa è quella dei super ricchi. Sebbene lo stesso Piketty, tra gli altri, abbia dimostrato come la quota della ricchezza globale, derivante dal lavoro, sia in diminuzione, l'idea diffusa è che il ricco è tale perché se lo è meritato lavorando sodo. 

Sebbene gran parte delle ricchezze derivi da rendite finanziarie, passività immobiliari o eredità, la borghesia capitalista, come è definita nel recinto analitico marxista, ha operato un processo di costruzione ideologica che rende la posizione di chi ha di più non solo materialmente migliore ma socialmente auspicabile. 

Il lavoro, in precedenza sprezzato dalle élites aristocratiche e riservato solo alle classi subalterne, è diventato per la classe dominante lo strumento simbolico per poter rendere giusta la crescente disuguaglianza. 

Dei super ricchi si parla poco e quando lo si fa lo si tende a fare principalmente per evidenziarne meriti professionali: Jeff che si alza alle 4 del mattino, Elon che indice riunioni fino a tarda notte, Bill che segue la regola dei tre pifferi. E così via. 


Cosa significa essere ricco

Essere più ricco significa vivere meglio, vivere di più, godere di minori preoccupazioni che vivono quotidianamente coloro che devono fare i conti con il giogo del bisogno. 

Ma significa, innanzitutto, godere di un privilegio pagato da altri. In un sistema di risorse limitate chi è super ricco si sta accaparrando un superfluo che per milioni di individui significherebbe sopravvivenza e dignità. 

I ricchi inquinano di più, consumano di più, privatizzano i profitti ma collettivizzano le esternalità, come il degrado ambientale o la progressiva distruzione del tessuto sociale. 

Il problema della ricchezza non è una questione di costume o di moralità, ma una reale minaccia alla democrazia e alla sostenibilità ambientale del nostro sistema. 

Tassarli non significa togliere loro risorse, significa redistribuire potere e rimettere al centro del dibattito pubblico la giustizia sociale. 



(1) leggi qui nell'HUB l'approfondimento: "La disuguaglianza non è solo economica ma è una vera tassa sulla mente", di Alessandro Sahebi. 

(2) Il Capitale del XXI Secolo.

(3)  C. Volpato in "Le radici psicologiche della disuguaglianza".





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