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porpora marcasciano
Ottobre 31, 2023
Giustizia Sociale

La memoria della comunità LGBTQ+ come strumento politico per il presente e il futuro

Approfondimento di Michela Grasso, SPAGHETTIPOLITICS

«Al futuro negli anni ‘70 non ci pensavamo molto, eravamo impegnati a trasformare il presente: aspiravamo a un mondo migliore, più bello, volevamo rompere le catene che ci attanagliavano». Porpora Marcasciano, 66 anni, storica attivista e scrittrice trans, ricorda cosí i suoi primi anni di lotta per la comunità LGBTQ+, «Il presente di oggi per certi versi ha superato il futuro che ci immaginavamo; abbiamo avuto delle grandi conquiste, la più grande quella della visibilità. Per secoli siamo stati invisibili, ora possiamo nominarci, identificarci, raccontarci. Oggi esiste un vocabolario che prima non esisteva».

Raccontarsi per parole e immagini è un privilegio spesso dato per scontato, un’azione che nella sua semplicità legittima e radica nella realtà l’esistenza di qualsiasi identità e individuo. La possibilità di identificarsi come persone LGBTQ+ è un passo avanti avvenuto in tempi recenti, e con cui in Italia si fa ancora fatica a fare i conti.  «Durante la mia adolescenza non c’erano grandi riferimenti per la comunità trans», racconta Porpora a Voice Over Foundation, «All’epoca, negli anni ‘70, era appena iniziato il nostro processo di visibilizzazione. Non avevamo molti esempi a cui appellarci, c’era Mario Mieli, famoso scrittore e attivista gay, e si sfogliavano le pagine del Re Nudo, un giornale milanese reperibile solo in edicole alternative. Chi ci ispirava erano le dive dello spettacolo, donne come Mia Martini, Patty Pravo… Paradossalmente, uno dei miei primi contatti con la comunità trans è stato con una sorta di leggenda popolare nella valle dove sono cresciuta, quella che in paese chiamavano l’uomo-donna, ovvero Romina Cecconi, una donna trans che venne mandata al confino nel paesino di fianco al mio e di cui si parlava parecchio. Ai tempi, pur non conoscendola e non sapendo ancora cosa significasse essere trans, la sua storia mi incuriosiva».  

Il paragone tra l’Italia di 50 anni fa e l’Italia di oggi fa emergere storie e ricordi che possono sembrare quasi assurdi in un presente che si sta abituando sempre di più alla visibilità che la comunità LGBTQ+ ha conquistato negli ultimi anni. Questa visibilità non è emersa dal nulla; è il risultato di anni di lotta non solo contro lo stigma sociale, ma anche contro quelle stesse istituzioni che lo perpetravano. 


Non è un caso che Porpora menzioni Romina Cecconi, la seconda persona transgender ad ottenere il cambio di sesso anagrafico in Italia. Romina, anche chiamata “La Romanina”, oggi 82 anni, è stata un pilastro del movimento trans italiano. La sua volontà fortissima di non negare mai la sua identità la portò spesso sulle pagine dei giornali italiani che gridavano allo scandalo e, nella sua gioventù, si confrontò con botte, maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine, emarginazione, costrizione a rispettare un coprifuoco, carcere e addirittura il confino per tre anni a Volturino. La tenacia di Romina a non negare sè stessa cambiò per sempre la legge italiana, aprendo la strada alla legge 164 per l’adeguamento anagrafico dei documenti delle persone trans. Romina è l'esempio di una donna transgender che non ha mai chiesto scusa per la sua esistenza e che, in un periodo dove in Italia esisteva ancora la polizia del Buoncostume, si rifiutò di rimanere nascosta, diventando un punto di riferimento per intere generazioni. Oggi la storia di Romina non è molto conosciuta fuori dalla comunità LGBTQ+, nonostante la sua vita incredibile che spesso ha assunto anche i toni della leggenda. Riflettere sul passato della comunità LGBTQ+, porta a interrogarsi su cosa volesse dire crescere in un’Italia senza riferimenti per definirsi, per riconoscersi, per sentirsi rassicurati anche tramite l’esempio di altre vite a cui ispirarsi.


«È importante ricordare che le persone LGBTQ+ sono sempre esistite», racconta a Voice Over Foundation, Kate, 29 anni, «Anche prima degli anni ‘80. Per questo ho deciso di creare questa pagina, per far vedere che noi siamo qui, e siamo sempre stati qui, la nostra esistenza non è un'invenzione ma una parte integrante dell’esperienza umana». Kate vive a Chicago, è una bibliotecaria che sogna di lavorare nel mondo degli archivi, e da quasi 4 anni amministra la pagina Instagram “Queer Love in History”, dove, con l’ausilio di vecchie foto, racconta storie di coppie queer nel 20esimo e 19esimo secolo. «Sono sempre stata appassionata a queste storie, le cercavo, le salvavo, le rileggevo. A un certo punto mi sono accorta che era arrivato il momento di condividerle. Ci sono persone che mi cercano per raccontarmi le storie d’amore dei propri parenti vivi o defunti, per celebrarli o ricordarli. Per me è un onore poter raccontare tutte queste vite, permettendogli di essere ricordate». 


L’importanza della visibilità è legata intrinsecamente all’esistenza del ricordo. Il valore della memoria è un tema su cui non ci si interroga abbastanza,  quello che scegliamo di ricordare del nostro passato ha un significato politico: ci identifica con chi siamo, delineando anche il sentiero per chi saremo. «Io ho scelto di raccontare principalmente storie d’amore con un lieto fine», spiega Kate, «la narrazione dominante di storie queer nei film, nei libri o nei racconti dal passato, è quella tragica. Io riconosco l’importanza storica della sofferenza che abbiamo dovuto attraversare come comunità, e proprio per questo voglio ricordare e celebrare tutte quelle storie che non vengono raccontate e rischiano di essere dimenticate: storie vere, d’amore, dove i protagonisti sono riusciti a trovare, anche in periodi di profonda difficoltà, la felicità». E la pagina di Kate fa proprio questo, diventando un museo digitale di foto color seppia e in bianco e nero di coppie queer di tutti i tipi: c’è chi ha in braccio un gatto, chi gioca a softball, chi si abbraccia su una spiaggia sessant’anni fa, chi ride a una festa, chi protesta tenendosi per mano, e molto altro. In questi ritratti dell’amore queer degli ultimi due secoli si trovano storie sconosciute di persone a cui non era concesso rendere visibile la propria esistenza. La preoccupazione di Kate è la piega che sta prendendo la situazione per la comunità LGBTQ+ negli USA, e soprattutto dei sempre più numerosi divieti di leggere libri a tema queer nelle scuole statunitensi: «Alcuni sono spaventati dalle storie queer perchè minacciano la loro visione del mondo. Le persone non amano ciò che è diverso da quello che conoscono, per questo è così importante esporci alla diversità, per educarci alla realtà». Il lavoro prezioso di Kate è diventato celebre negli ultimi anni, e il suo piccolo museo digitale ha più di settantamila seguaci, a dimostrazione che l’interesse per la storia queer, e in particolare per l’amore queer, può solo crescere.

«Quando oggi vado al mercato, dove c’è sempre un sacco di gente, chiedo provocatoriamente alle bancarelle se per caso sia passata mia moglie a prendere quello che aveva ordinato. Lo faccio per vedere l’effetto che fa. Dopo tanti anni passati a nascondermi, oggi sono talmente esplosiva da voler far sapere a tutti di essere lesbica». Maria Laura Annibali, 79 anni, racconta cosí una scena della sua vita quotidiana a Roma, dove vive con la moglie con cui celebrerà 7 anni di matrimonio il 23 novembre. Maria Laura dal 2014 è presidente dell’associazione Di’GayProject, è documentarista e autrice della trilogia “L’altra altra metà del cielo”, e ha alle sue spalle una lunga lista di incarichi lavorativi legati alla comunità LGBTQ+. «Da adolescente non sapevo cosa volesse dire la parola lesbica, non ero in grado di riconoscermi. Solo dopo aver rifiutato cinque o sei fidanzati ho iniziato a interrogarmi su me stessa, Poi, verso i 30 anni ho iniziato una relazione, durata 23 anni, con la donna che alle superiori era stata la mia compagna di banco, ma il coming out pubblico è arrivato solo nel 2000». Maria Laura racconta la sua storia mentre si prepara a viaggiare verso Genova, dove dovrà presentare il suo docufilm “L’altra altra metà del cielo. Donne”.


«Anche quando in gioventù ho avuto la certezza matematica di essere lesbica, non riuscivo a vedere che sviluppo avrebbe potuto avere la nostra comunità. Quando poi me ne sono resa conto, ho iniziato a battermi per le strade e non ho più smesso, per le unioni civili mi presi quasi una polmonite… dopo tanti anni nascosta, sono scoppiata, non voglio più fermarmi in questa lotta. Io sono credente, e sono convinta che il padre eterno mi abbia fatta lesbica, e io ho giurato che finchè starò in piedi, continuerò a combattere per la mia comunità».


L’importanza del dare visibilità alla comunità LGBTQ+ emerge dalle parole di Maria Laura. La paura di non essere accettati e la sensazione di dover restare nascosti derivano dalla consapevolezza di non poter esistere nel mondo per come si è. Nel 2023 viene data finalmente la possibilità di riconoscersi e di nominarsi, grazie a tutte quelle persone che in Italia e nel mondo hanno lottato e sofferto per affermare la propria identità, e Maria Laura fa un grande lavoro, portando la sua storia anche nelle scuole. «Per me è sempre stato difficile riuscire a portare la mia storia nelle scuole, eppure ci sono riuscita diverse volte, mi trovo bene con i ragazzi», aggiunge Maria Laura, «Eppure, nell’ultimo periodo è diventato ancora più complicato. Vedendo il panorama politico italiano io ho paura di non veder realizzate le cose più importanti per me: il matrimonio egualitario, e il riconoscimento delle famiglie arcobaleno come famiglie di fatto».


Maria Laura riporta numerose volte le sue preoccupazioni nei confronti della situazione attuale, e della paura che con questo governo non solo non si vada avanti, ma che addirittura si facciano passi indietro nella tutela delle persone LGBTQ+. Negli ultimi mesi, si è sentito parlare spesso di coppie omogenitoriali, a seguito della richiesta del governo alle anagrafi di non registrare i figli di coppie omogenitoriali. Come scrive LaSvolta, “In Italia ora non c’è una legge a regolamentare questo aspetto, esiste solo la possibilità per il genitore non biologico di avviare un percorso di adozione oppure la trascrizione di questa genitorialità nei registri comunali, fatta però solo da alcuni sindaci e bloccata da una sentenza della Cassazione”.


Le persone LGBTQ+ in Italia non faticano solo nelle questioni burocratiche, ma nella vita quotidiana. Secondo un report di Cronache Di Ordinaria Omofobia, tra il 2022 e il 2023, in Italia sono stati denunciati 115 episodi di omobitransfobia, ovvero la dscriminazione contro persone omosessuali, bisessuali e transgender. Un numero altissimo, se consideriamo che moltissimi episodi e aggressioni non vengono denunciati. L’aspetto più interessante di questo report, che viene pubblicato ogni anno, riguarda l’analisi per mesi: febbraio 2023 ha visto un picco di aggressioni, in corrispondenza alla “martellante campagna di disinformazione sulla maternità surrogata a cura delle forze di governo e dei media che le sostengono”. Un fenomeno simile si era visto con picchi di aggressioni ad agosto 2020, e a giugno 2020, mesi in cui il DDL Zan era stato presentato alle camere. Questo dimostrerebbe quindi che “il ricorso alla violenza omofoba è, per alcuni, una forma di espressione politica”.

L’italia è un paese che ancora non riesce a fare i conti con la sua omobitransfobia, eppure è anche un paese che ha visto crescere centinaia di attivisti e dove la lotta, sia per le strade, sia alle bancarelle del mercato cittadino, sembra non fermarsi mai. E non solo, è un paese pieno di storie, storie queer che devono essere raccontate e celebrate per testimoniare la presenza costante di persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender nei secoli. La visibilità della comunità LGBTQ+ non deve esistere solo nel momento presente, ma deve essere retroattiva, deve allungare le mani nella memoria, scavare alla ricerca di ricordi per dimostrare che le persone gay, lesbiche e trans sono sempre esistite, perchè come ha detto Kate «La nostra, è una parte integrante dell’esperienza umana».




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