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la diseguaglianza
Giugno 01, 2022
Giustizia Sociale

La diseguaglianza non è solo economica ma è una vera tassa sulla mente

Approfondimento di Alessandro Sahebi

Non è solo una questione materiale. Se i ricchi si differenziassero dai poveri per il solo possesso di lussuosi yacht, borse firmate o macchine potenti la disuguaglianza non sarebbe un problema. O meglio, lo sarebbe in misura limitata. Discuteremmo di gusto e opportunità nell'ostentazione, forse proveremmo invidia, sicuramente desidereremmo provare almeno per un giorno la sensazione di poter godere della celebre "bella vita" senza dover pensare al resoconto mensile della carta di credito. Se fosse solo questa la diseguaglianza, forse non esisterebbe né un dibattito sul tema, né questa sezione all'interno dell'hub di Voice Over Foundation. 

La verità, tuttavia, è un'altra: la disuguaglianza economica è dannosa sotto molti punti di vista. 

E non lo è solo per ciò che concerne gli effetti materiali di una distribuzione iniqua, che esistono e che riguardano economia, ambiente e lavoro, ma lo è anche e soprattutto da un punto di vista immateriale e psicologico. L'anima delle persone - o per gli aficionados della scienza, la psiche - è condizionata da ciò che (non) si ha. Un non segreto per gli addetti ai lavori, un elemento narrativo quasi assente sul terreno del mainstream. 

Gli effetti immateriali della disuguaglianza 

La ricchezza è stata tradizionalmente pensata, soprattutto grazie ai filosofi tedeschi Karl Marx e Friedrich Engels, come l'accesso alle risorse economiche produttive o improduttive di un sistema. Secondo questo prisma interpretativo, maggiore quota di ricchezza si possiede, più alta sarà la nostra posizione nella piramide sociale. Meno studiati, tuttavia, sono gli effetti psicosociali dell'appartenenza di classe (1), a causa della difficoltà di misurazione ed esposizione dei risultati, i cui indici sono ben più complessi dei numeri e dei grafici a cui comunemente siamo abituati dalla scienza economica. 

La vita di un essere umano, tuttavia, è molto più di quanto sia in grado di comprare e, negli ambienti accademici, da qualche anno, sotto la lente di ingrandimento delle discipline non economiche si è cominciato a chiedersi quanti e quali effetti immateriali provochi la disuguaglianza: che abitudini posizionali sono coinvolte (abitudini quali frequentare un museo o leggere un libro e che rendono la nostra attività posizionante), in che modo si modifica la considerazione di sé, come viene stimolata o anestetizzata l'autostima e quale habitus, ovvero la chiave di riproduzione culturale di comportamenti in pubblico, indossano le classi sociali, ad esempio. 

Avere meno: timidezza e tasse sulla mente

Partiamo dalla melma. Avere meno condiziona, innanzitutto, il modo in cui pensiamo. Secondo l'economista comportamentale Sendhil Mullainathan e lo psicologo Eldar Shafir, la scarsità di risorse agisce sulla psiche dell'individuo in maniera paragonabile a ciò che accade a chi porta sulle spalle un macigno o è oberato da impegni e privo di tempo libero. I due autori parlano apertamente di una "tassa sulla mente" che grava sui poveri e che li rende meno produttivi, meno creativi, meno attenti alle opportunità e più concentrati sugli effetti negativi delle loro azioni. La scarsità non è transitoria ma assorbe costantemente l'attenzione e i pensieri delle persone e ha effetti profondi sul comportamento umano e sulle emozioni. 

La povertà, al contrario di quanto affermato dall'utopia meritocratica, non è l'effetto di decisioni sbagliate, bensì, in molti casi, ne è la causa in quanto modifica la mente a livello conscio e inconscio, condizionando i processi di problem solving e gettando gli individui nella spirale di insuccesso. Avere meno è una condanna di cui si prende consapevolezza nei primi anni di vita e ci si trascina per tutto il periodo dell'infanzia e della giovinezza. Un bambino si rende conto di essere povero a quattro anni, un'età in cui la padronanza e la misura del possesso materiale è ancora imperfetta. Eppure, già a quell'età, la percezione del posizionamento sociale dei genitori comincia a prendere forma e assorbe con essa una serie di stereotipi sociali egemoni. A sei anni si identificano i più ricchi come maggiormente competenti e a nove lo sviluppo di chi ha di meno, dal punto di vista delle performance scolastiche, è inferiore ad un pari appartenente alla classe sociale dei percentili (2) più alti della popolazione (3)

Come evidenziato in diversi studi (4), questa distanza cresce, a volte in modo esponenziale, negli anni dell'università - per chi ha le possibilità di potersi iscrivere - e nel mondo del lavoro, trasformando la disuguaglianza economica in una disuguaglianza di autorappresentazione, con una sacca di popolazione incolpevolmente timida, poco fiduciosa di sé, incerta e autolimitante (5). Chi ha meno deve, dunque, fare i conti con consumi e stili di vita che peggiorano e accorciano le esistenze e deve vivere con l'onnipresente sensazione (che spesso sfocia in senso di colpa) di non essere abbastanza. Per questo fardello, a causa della sua natura prettamente psicologica, non esistono indici matematici quantitativi come accade per la ricchezza materiale e per questo a volte può risultare invisibile. E quando qualcosa non si vede si rischia di non accorgersene. 

Avere di più: la legittimazione narrativa del successo

Dalla melma alle stelle. Il prestigio è legittimato solo quando è per pochi. Se, come detto, l'esibizione di beni posizionali fosse l'unico distinguo tra ricchi e poveri probabilmente la disuguaglianza economica potrebbe essere definita solo dalla disuguaglianza materiale. "Avere classe" tuttavia è la conditio sine qua non per tenere lontano gli arrampicatori sociali e per questo, come ricorda il sociologo francese Pierre Bourdieu, le élite nel tempo si sono attrezzate per costruire una serie di segnali evidenti, o capitale simbolico, finalizzati a legittimare e consolidare le differenze quasi esistenziali tra gruppi sociali. 

Dalla postura al linguaggio, dal capitale culturale all'ostentazione di una vita e una dieta sana. In una società a classi sociali permeabili essere élite è un'attività stressante perché, almeno in teoria, il rischio di cadere in una sezione inferiore della piramide e perdere i privilegi è possibile. Un contadino nel Medioevo sapeva di morire, con buone probabilità, contadino. E benché avesse potuto immaginare di poter esser più intelligente del suo signore, mai avrebbe potuto aspirare a prenderne il posto. 

Oggi la possibilità di diventare "signore" partendo dall'essere contadino c'è, anche se i dati sul Social Mobility Index dicono che l'ascensore sociale in Europa e negli Usa rallenta o si è già rotto. Non più solo yacht, tenute in campagna e servitù ma che lavoro si fa, quante lingue si parlano e che scuole si frequentano. Sono le cosiddette social currencies, ovvero beni posizionali immateriali formalmente accessibili universalmente ma che spesso si raggiungono per mezzo di vantaggi (rette costose, network esclusivi, tempo acquistato) ai più di difficile accesso. 

A celare l'abisso di possibilità che permette ai più ricchi di ottenere maggiore riconoscimento c'è la narrativa del successo: in una società orientata a valutare gli individui per i risultati che ottengono e scarsamente propensa a considerare le cause che hanno permesso, o impedito, il raggiungimento di un traguardo, è facile finire per credere che chi ha di più semplicemente se lo meriti. Una convinzione, nata come finzione, a cui le stesse élite finiscono per credere. Nel 1999, i ricercatori e psicologi Jim Sidanius e Felicia Pratto formulano la teoria della Dominanza Sociale per spiegare genesi e sviluppo della legittimazione: la costruzione di un mito (come può essere la competenza, il volere divino o un evento storico giustificante) è comune in tutte le società gerarchiche. La legittimazione di classe per i due autori è un processo arbitrario: sono i migliori a decidere segnali e caratteristiche del successo e, dopo averli affermati, questi cercano di costruire un sistema dove l'accesso a queste metriche è più agevolato agli appartenenti della classe dominante. A posteriori le élite riconoscono come genuina questa narrazione e si autoconvincono di meritare prestigio e potere. Nemmeno per questo vantaggio esistono indici matematici: un mix tra cause materiali e un effetto placebo su scala sociale che allontana ancora di più chi ha, da chi non ha. Sotto una spessa crosta di finto merito. 

Classe e status 

Ciò che si è scritto è noto da tempo all'interno degli ambienti accademici. Meno nei testi delle canzoni, nei facili slogan dei personal coach, nelle raccomandazioni amorevoli ma ingenue di insegnanti e genitori. Riconoscere che la classe economica determina lo status, dove per status si intende anche la matrice causale di natura psicologica, cambierebbe la percezione del gioco. Lo scopo di questo testo, colpevolmente non esaustivo, è quello di introdurre questo piccolo granello di sabbia nell'ingranaggio.

Non solo yacht, vacanze e palazzi. Le differenze sono esistenziali: viviamo lontani tra di noi, non comunichiamo, conduciamo vite separate anche sul piano immateriale. 

Come ricorda il filosofo Michael Sandel, questo è un problema di democrazia: una società dove le classi conducono vite separate senza mai incontrarsi è una società che rinuncia allo scontro-incontro tra diversi, favorendo alti muri dorati. Una pace apparente ma che scava immense voragini tra gruppi sociali. Il tessuto delle nostre società rischia di strapparsi a causa di questa distorsione. Per questo è necessario rinarrare il vero peso della disuguaglianza per iniziare a cercare di ricucire la collettività. E si spera che questo testo sia l'inizio di una lunga riflessione collettiva che rimetta in discussione uno dei più grandi pregiudizi del nostro tempo, ovvero che la ricchezza sia una genuina ricompensa per lo sforzo profuso. 


(1) Essendosi sviluppata prevalentemente negli Usa, la ricerca psicosociale secondo C. Volpato ha dato maggiormente interesse ad intersezioni quali etnia e genere. Eccezioni riportate dalla studiosa sono Argyle e Frurnhan che rimangono, tuttavia, marginali.

(2) Essendo un fenomeno esponenziale vi è una crescita del fenomeno, che riguarda in questo caso il primo decile rispetto all'ultimo.

(3) C. Volpato in Le radici psicologiche della disuguaglianza.

(4) Per l'aspetto lavorativo si veda Richard Sennett e Jonathan Cobb, The hidden injuries of class; Università:Zorana Ivcevic e James Kaufmann Looking Forward: The Potential of Creativity for Social Justice and Equity (and Other Exciting Outcomes) Learning and individual differences 2013.

(5) World Values Survey in Haushofer and Fehr (2014).

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