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Luglio 06, 2021
Giustizia Sociale

GIUSTIZIA SOCIALE E DISUGUAGLIANZE

Un problema sistemico che non si può più ignorare

La Giustizia Sociale è un concetto sistemico che abbraccia molte sfere del dibattito pubblico. Ha tante cause, spesso correlate tra loro, e tanti effetti che a volte lo alimentano rafforzandone le cause.

È un concetto che abbraccia diversi ambiti, dalla sperequazione di ricchezza e reddito, alle discriminazioni, alle diverse opportunità di accesso ai diritti fondamentali subite in base al credo religioso, all'appartenenza etnica, al colore della pelle, al genere, all'orientamento sessuale, alle abilità fisiche. 

Quando lo si affronta in riferimento alle diverse opportunità di accesso alle risorse ambientali e alle diverse conseguenze subite dalla crisi climatica si parla allora di Giustizia Ambientale.  

Il più delle volte se ne parla in negativo, denunciandone l'assenza, affrontandolo spesso in termini di diseguaglianze e di ingiustizia e, soprattutto, degli enormi squilibri di potere che ne derivano. 

Quando nasciamo entriamo a far parte di una famiglia, di un determinato contesto sociale, che ci posiziona in modo del tutto casuale in un valore qualsiasi dell'indice di Gini, senza che noi ne abbiamo alcun merito o alcuna colpa. 

Dedichiamo poi gran parte la nostra vita allo sforzo di mantenere o migliorare questa posizione. 

Se osserviamo la disuguaglianza della distribuzione del reddito e della ricchezza tenendo a mente il concetto di casualità, ci accorgiamo delle profonde ingiustizie che caratterizzano la nostra società.

Il report Oxfam del 2019 ci rivela che le 26 persone più ricche al mondo (tutti maschi e bianchi) hanno accumulato la stessa ricchezza del 50% più povero del pianeta, ovvero circa 3,8 miliardi di persone. 

La situazione è aggravata dal fatto che di questi 3,8 miliardi di persone, ne possiamo contare circa 1 milione che vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di 1,9 $ al giorno, e 3,4 miliardi che vivono con meno di 5,5 $ al giorno. 

Questo enorme divario si traduce in altrettanta enorme distanza in termini di potere, inteso come possibilità di influire su una qualunque forma di cambiamento a livello sistemico.  

Di giustizia e potere dissertava già Platone nel primo libro de "La Repubblica", scritto fra il 390 e il 360 a.c., correlando potere politico a ricchezza e accesso alle risorse, e indicando il ricorso al debito (emesso dai grandi proprietari) come strumento che crea l'illusione di una situazione di "uguali opportunità" per tutti, quando invece ricchezza e potere si concentravano sempre più nelle mani di pochi.  

Negli ultimi quarant'anni anni, con il forte impulso della dottrina neoliberista, questo processo ha subito un'accelerazione senza precedenti. Grazie ad un meccanismo articolato che ha coinvolto a vario titolo finanza, economia, politica e cultura. E che ci ha coinvolti tutti: debitori, investitori, lavoratori, consumatori, elettori, persone con valori basati su un'impalcatura culturale ben precisa. 

Se questo crescente divario, definito Apartheid 2.0 da Jail Naidoo (politico e attivista sudafricano) nel 2015, non smuove moti di ribellione alla nostra etica e alla nostra morale, dovrebbe almeno preoccuparci per tutte le conseguenze legate invece alla nostra sicurezza, alla salvaguardia del pianeta, alla sopravvivenza della democrazia, alla stabilità politica e sociale dei nostri Paesi. 

Alti tassi disagio sociale, di violenza, di criminalità, movimenti terroristici, guerre, nazionalismi, autoritarismo politico, crisi del sistema democratico, sfiducia nella politica, infiltrazioni criminali, sono tutti sintomi di un sistema malato in cui l'interesse personale prevale su quello collettivo, in cui concetti come fratellanza e uguaglianza risuonano vecchi ricordi di vicende lontane studiate a scuola e prevalgono invece paura, indifferenza, odio o distacco.

Il fatto che le diseguaglianze siano un problema è ormai un fatto consolidato e riconosciuto. Ne parlano tutti, dalle organizzazioni non governative (NGO), ai movimenti di piazza, alle Nazioni Unite, al World Economic Forum, al Papa e ai leader religiosi, alla finanza internazionale, al G7. Nel 2015 è stato inserito negli SDGs 2030 un nuovo obiettivo, il 10°, che si propone proprio di ridurre le diseguaglianze. 

Il riconoscimento del problema e il fatto che sia stato inserito nell'agenda politica globale è già un grande passo avanti. 

La soluzione di un problema così complesso richiede però uno sforzo collettivo. Sebbene certi rimedi debbano necessariamente venire da un'agenda politica comune volta alla sostenibilità ambientale, a interventi sulla politica fiscale, sulla spesa pubblica, su come viene gestita, e su una più efficace armonizzazione normativa internazionale, con uno sguardo attento ai bisogni dei giovani; le soluzioni non possono essere semplicemente calate dall'alto. Occorre uno sforzo di tutti: politica, imprenditoria, finanza, attivisti, media, cultura, e anche di tutti noi, cittadini comuni. 

Sarebbe bello se iniziassimo a sentire collettivamente la responsabilità di ciò che lasciamo accadere ogni giorno, perché se continuiamo a normalizzare l'esistenza di questi enormi squilibri di potere, non basteranno leader politici illuminati a cambiare la situazione. Per questo il cambiamento sistemico ha bisogno anche di una spinta dal basso. 

Crediamo quindi nella necessità di un risveglio civico e morale, che ci coinvolga come persone e come cittadini e cittadine.

Ci interroghiamo anche se non sia arrivato il momento di riscrivere la narrativa dominante degli ultimi secoli di cultura eurocentrica. 

Già Adam Smith (filosofo ed economista del XVIII secolo) ne "La teoria dei sentimenti morali" (1759) scriveva: "questa inclinazione ad ammirare, quasi a venerare, il ricco e il potente, e a disprezzare o quanto meno a ignorare le persone povere o di basso ceto, (...) è la maggiore e più universale causa di corruzione dei nostri sentimenti morali". 

E più recentemente il filosofo morale Jeremy Waldron, nel libro "One Another's Equals" (2017) scriveva: "Questa massiccia diseguaglianza economica può incrinare la nostra aderenza al principio fondamentale di pari valore e pari dignità. (...) Potremmo abituarci alle diseguaglianze economiche (...) a smettere di riconoscere coloro che ne sono privati (della ricchezza) come nostri pari. Potrebbe anche diventare moralmente imbarazzante per noi riconoscerli come tali, perché ciò significherebbe ammettere l'ingiustizia. Meglio forse girarsi dall'altra parte".

Crediamo quindi sia urgente anche un cambiamento di prospettiva; dobbiamo forse rieducarci a riconoscerci negli altri e a cogliere la bellezza, il valore, la dignità e la forza di ognuno di noi. Cominciando da chi, pur partendo da situazioni di svantaggio, si batte ogni giorno per affermare la propria dignità di essere umano per rivendicare il diritto ad un futuro diverso. 

Da chi non smette di credere che un mondo più giusto sia possibile, e che si impegna ogni giorno per costruirlo. 


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