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diritto alla salute
Settembre 23, 2022
Giustizia Sociale

Diritto alla salute: privilegio per poch*, utopia per molt*

Approfondimento di Michela Grasso, SPAGHETTIPOLITICS

A Maggio 2022, è stata presentata una proposta di legge in Senato per il riconoscimento da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di vulvodinia e neuropatia del pudendo come malattie croniche e invalidanti. Si tratta di malattie invisibili che riguardano centinaia di migliaia di persone. Si stima che il 16% delle donne sperimenti dolori associati alla vulvodinia nel corso della propria vita, una patologia comune, ma non riconosciuta. 

Soffrire di vulvodinia significa vivere a stretto contatto con il dolore vulvare, faticando a compiere azioni quotidiane come andare in bicicletta o accavallare le gambe. La neuropatia del pudendo, d'altro canto, è una malattia rara, colpisce il 4% dei pazienti che soffrono di dolore pelvico, ma è estremamente invalidante. La neuropatia del pudendo può derivare da un'infiammazione o danneggiamento del nervo del pudendo, il dolore è cosí intenso che il 70% di chi ne soffre fatica a stare seduto, ed è quindi costretto a passare la maggior parte del tempo sdraiato.

Riconoscere queste due patologie come croniche e invalidanti, permetterebbe di creare delle linee guida per la terapia, insieme a una formazione specifica dei medici, con l'obiettivo di ridurre i ritardi diagnostici e garantire una vita più serena ai pazienti.

«Penso alla persona malata, che potrebbe vivere il proprio malessere fisico nella sua complessità, senza dover pensare a quali scuse inventare per non andare a lavoro, senza dover fare i conti in tasca o chiedere ai propri genitori una mano economica per l'impossibilità di autogestione a causa di un sistema classista. Penso che una persona qualsiasi che vive una condizione fisica compromessa debba avere la "serenità" nella tutela e quindi nel viversi questo malessere con la sicurezza di poter essere aiutata e seguita». Lo spiega così Gloria Pallotta, artista e attivista di 24 anni, da poco operata di endometriosi, una delle cosiddette "malattie invisibili". 

Quando si parla della natura economica del riconoscimento di una malattia, si parla della possibilità di richiedere esenzioni, assistenza e avere più facilità nel riconoscimento di una eventuale disabilità fisica derivante dalla situazione. «Passiamo una vita a chiedere aiuto e sentirci dire che non abbiamo nulla. C'è chi questa invalidazione la vive anche in casa, a scuola, a lavoro. Se penso al riconoscimento penso a questo: non subire più violenza psicologica in qualsiasi ambiente. Io per prima, a causa di chi ho incontrato negli ospedali privati e non, ho dovuto vivere in casa diverse situazioni di invalidazione della mia malattia». 

Gloria è una delle 23 milioni di donne che soffrono di endometriosi in Europa, malattia che colpisce più del 10% delle donne in età fertile in Italia. Secondo l'ospedale San Raffaele di Milano, «L'endometriosi consiste nell'insediamento e nella crescita fuori sede di tessuto simil endometriale, ossia la mucosa che riveste la parete interna dell'utero e che si sfalda durante il ciclo mestruale». Nel caso di Gloria, tutto è iniziato da una piccola adenomiosi, ovvero una crescita di tessuto simil endometriale all'interno dell'utero. 

Il calvario di Gloria è iniziato a 16 anni, con mestruazioni accompagnate da dolori insostenibili, aumentati dopo un'operazione chirurgica a una cisti ovarica. «Dopo quattro anni di ricerca diagnostica, mi è stato comunicato di soffrire di adenomiosi, per la quale mi è stata prescritta una pillola anticoncezionale che avrebbe dovuto migliorare la situazione. A causa della pillola ho avuto un infarto polmonare, non mi è stato fatto alcun esame specifico prima di prescriverla». Gloria non è l'unica persona ad aver subito un caso di malasanità. Come lei, milioni di persone ogni anno soffrono di invalidazione e disattenzione da parte dei medici. Additate come esagerate, pazze o isteriche, moltissime donne si ritrovano a soffrire senza spiegazioni valide. «Prima di una diagnosi seria, ho dovuto vedere una dozzina di medici. Una volta sono andata in ospedale con un'emorragia fortissima e sono stata dimessa dalle infermiere che ridevano, dicendomi di non avere nulla. Dopo l'infarto ho dovuto iniziare a fare fisioterapia per riprendere a camminare, mi è stato detto di curarmi con lo yoga e con l'agopuntura» aggiunge Gloria.

Una malattia come l'endometriosi, fa perdere 33 milioni di giornate di lavoro ogni anno solo in Italia. Ma il suo impatto non si limita allo sforzo produttivo, soffrire di una malattia cronica e invalidante vuol dire dover rinunciare alla vita sociale, allo sport e, a volte, perfino all'istruzione. Eppure, nonostante il suo impatto devastante sulla vita quotidiana di milioni di donne, in media ci vogliono ancora 7 anni, per diagnosticarla. Chi ne soffre deve attraversare anni e anni di invalidazione e sofferenze prima di ricevere una risposta. Spesso, ci si affida a visite private per l'urgenza dei propri dolori, arrivando a spendere migliaia di euro ogni anno. E non solo. Per chi vive lontano da centri specializzati - che spesso non sono una garanzia -, si devono anche aggiungere i costi economici e fisici del viaggio. 

Ogni anno, un milione di italiani si sposta dalla zona in cui vive per avere accesso a prestazioni sanitarie non disponibili nel luogo di residenza. In Italia sono tre le regioni che dominano per quanto riguarda l'offerta di prestazioni mediche a chi proviene da lontano, la Lombardia , l'Emilia Romagna, e il Veneto. La Lombardia è la regione italiana con il minor tasso di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri. La regione italiana con il tasso più alto è invece la Calabria, seguita da Campania, Sicilia, Puglia e Lazio.

Chiara Stefanetti ha 37 anni, vive nel Lazio, a Monte Porzio Catone con suo marito e le loro due bambine. «Prima mi piaceva rasarmi i capelli, portarli corti. Ora non lo faccio più, quando ci ho provato mi è sembrato che mi scorticassero la testa per i dolori della fibromialgia», racconta. Negli ultimi dieci anni, Chiara ha dovuto fronteggiare una serie di malattie croniche e invalidanti che le hanno cambiato completamente la vita: endometriosi, adenomiosi, vulvodinia, fibromialgia, e neuropatia del pudendo. Il suo percorso clinico è lungo, costellato di invalidazione, di dolore e di ritardi diagnostici. Da poco Chiara ha aperto una raccolta fondi di 10,000 euro per permetterle di trasferirsi a Pordenone per quattro mesi, dove dovrebbe svolgere un intervento di neuromodulazione sacrale. L'intervento è mirato a riattivare le funzioni fisiologiche di vescica e retto, perse durante un intervento di isterectomia totale per adenomiosi.

«Non voglio più curarmi a Roma. Forse altre persone qui si sono trovate bene, ma io no, ho avuto esperienze traumatiche. Nonostante ci siano specialisti, non hanno mai avuto con me un rapporto empatico. Un giorno sono andata per l'intervento di neuromodulazione. Il percorso partiva da un'infiltrazione di anestetici. Quando sono entrata in sala operatoria mi hanno messo un camice sopra i vestiti e abbassato i pantaloni, iniziando con le iniezioni. Nessuno mi ha spiegato cosa mi sarebbe successo dopo, mi hanno fatta sedere in sala d'attesa per aspettare che l'anestesia facesse effetto. Quando mi sono seduta, probabilmente a causa delle iniezioni tra le mie vertebre sacrali, una scossa mi ha attraversato il corpo, ed avendo io difficoltà con le funzioni fisiologiche, mi sono fatta la pipì addosso. Sono rimasta cosí per mezz'ora, seduta ad aspettare un medico», racconta. 

Dopo un ritardo diagnostico di sette anni, e dopo svariate terapie e operazioni, il corpo di Chiara è esausto. Spiega di soffrire di insonnia da anni, a causa dei dolori della fibromialgia che la tengono sveglia tutta la notte. Chiara fa fatica a sedersi, e deve quindi passare la maggior parte del tempo sdraiata. Per questo motivo, non ha un lavoro e non riesce a guidare, né uscire di casa. «Mio marito è disoccupato da tre anni, ha dovuto lasciare il lavoro per prendersi cura di me e delle bambine. Riusciamo a sopravvivere con quello che ci passa lo Stato per la mia disabilità e per l'aiuto dei miei nonni". Per l'intervento a Pordenone, Chiara spenderà circa 10,000 euro, e al momento non se lo può permettere. Negli ultimi anni, infatti, ha dovuto pagare circa 20,000 euro per le varie visite specialistiche, viaggi e terapie legate alle sue patologie. Benché l'intervento sia coperto dal SSN, i mesi di residenza a Pordenone, il viaggio e l'assistenza che dovrà ricevere in casa sono a carico di Chiara. Da un po' di tempo, Chiara riesce a occuparsi di "E.M.M.A Odv", un'associazione per supportare le persone affette da endometriosi e promuovere un nuovo approccio verso la cura della patologia. «Per i miei 35 anni mio marito mi ha regalato una macchina fotografica, la fotografia è sempre stato un mio grande interesse. L'ho usata per qualche tempo, quando ancora riuscivo a uscire. Ho fatto anche un corso fotografico durante il lockdown per ridarmi una dignità, ma ora non ce la faccio più. Spesso la paura di provare dolore è quello che mi trattiene e butta giù».

Edoardo Ostardo, responsabile del reparto di Neuro-Urologia e malattie rare neurologiche dell'ospedale Santa Maria degli Angeli di Pordenone è uno dei pochi medici in Italia specializzati nell'impianto di neuromodulatori. È proprio lui infatti ad occuparsi del caso di Chiara. L'intervento consiste nell'inserzione di un elettrodo che eroga impulsi per alleviare il dolore o per aiutare i nervi durante lo svuotamento di vescica e intestino, spiega Ostardo in un'intervista rilasciata a La Repubblica. L'elettrodo viene poi regolato dal paziente, ma ci vogliono alcuni mesi prima che il trattamento venga ritenuto soddisfacente e adeguato al paziente. 

«Mi é capitato di dire ad alcuni pazienti: sarebbe stato meglio se avesse avuto un cancro, perché allora avrebbe avuto tutte le strutture sanitarie disponibili per sovvenire alla necessità di esami, controlli e terapie», racconta il dottor Ostardo a Voice Over Foundation, «si fa molta fatica ad ammettere la sofferenza delle persone quando si parla di malattie rare». 

L'Italia é stato un paese all'avanguardia per quanto riguarda il riconoscimento delle malattie rare. Nel 2001, infatti, é stata stilata una propria lista, presa anche come esempio da altri paesi europei. Poi però, il Bel Paese non si è aggiornato adeguatamente, nonostante la creazione di una nuova lista più completa da parte dell'Unione Europea. Quando Ostardo parla delle malattie rare, si concentra non solo sull'aspetto del dolore fisico, ma anche sull'impatto devastante che una patologia può avere sulla psiche del paziente. 

«Il rapporto tra un medico e il suo paziente, è anche fatto di dolore e lacrime. Può capitare che alcuni dei miei colleghi diano per scontato molti elementi quando esaminano un paziente ma la verità è che non si deve dare per scontato nulla. Spesso è più semplice affrontare una malattia in senso schematico, senza guardare all'insieme di domini e elementi (muscolare, psicologico etc..) che compongono il quadro della situazione», spiega, aggiungendo che tra i problemi più urgenti della sanità rientra anche il trattamento dei medici. «Ci sono sempre più casi di burn-out, bisogna agire sul livello dell'umanizzazione, ma anche sul livello sindacale. Dando la giusta remunerazione agli operatori sanitari per il loro sforzo». La questione della sanità in Italia è spinosa, e le sue problematiche e soluzioni sono ampie e abbracciano svariati ambiti (sindacale, umanitario, infrastrutturale, formativo etc..). 

Le storie di Gloria e Chiara, ci raccontano quanto sia fondamentale riportare al centro del dibattito pubblico il diritto alla salute, il diritto ad avere strutture sanitarie funzionanti sul proprio territorio. Ma le loro voci ci raccontano anche quanto sia difficile e doloroso vivere una malattia cronica e invalidante, non riconosciuta come tale dallo Stato. Ogni giorno milioni di persone si svegliano, consapevoli di non meritarsi la stessa assistenza e terapie che vengono date ad altri pazienti ugualmente malati. «Immaginare di vivere con una malattia riconosciuta dallo Stato? Non riesco a farlo, mi sembra un'utopia», dice Gloria.



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