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Approfondimento Stella
Ottobre 24, 2023
Giustizia Climatica

Le multinazionali del fossile continuano la loro strategia di disinformazione sul clima attraverso gli influencer e i gamer

Approfondimento di Stella Levantesi

Chi gioca online a Fortnite, game di sopravvivenza, battaglia e esplorazione, oggi ha a disposizione una nuova mappa virtuale. La mappa è stata ideata da sei creatori Fortnite e viene promossa da “gamer” molto seguiti sulle piattaforme Twitch, Tik Tok, Instagram e Youtube. La promozione fa parte di una nuova campagna pubblicitaria ed è direttamente sponsorizzata e finanziata dalla compagnia di petrolio e gas Shell. 

La campagna “Shell Ultimate Road Trips”, è una delle più recenti strategie messe in atto dalle aziende di combustibili fossili per evitare la responsabilità per la crisi climatica e ostacolare o rallentare la transizione, come ha spiegato a Voice Over Marco Grasso, autore e professore di geografia politica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca. 

Oggi sappiamo che la storia di queste strategie è lunga e comincia negli anni ’70 e ’80 negli Stati Uniti, quando gli scienziati interni a compagnie come ExxonMobil avevano osservato con molta accuratezza come l’attività di bruciare combustibili fossili avrebbe alterato il clima globale con effetti devastanti per la salute umana e gli ecosistemi e, poiché si trovavano di fronte a un rischio elevato di regolamentazione governativa sul proprio settore, hanno mentito – prima sull’esistenza del problema, poi sulla propria responsabilità.  

“La disinformazione sul clima è stata creata intenzionalmente da campagne di negazionismo dell’industria fossile che hanno paralizzato l’azione climatica a livello globale e a cascata anche a livello nazionale per decenni,” ha detto Grasso. Dal negazionismo più “tradizionale”, agli attacchi diretti contro la scienza del clima, la campagna di disinformazione intrapresa dalle aziende fossili ha cominciato a sviluppare, negli anni, strategie sempre più insidiose e, quindi, meno facilmente riconoscibili.

Gli influencer di Big Oil e il nuovo greenwashing

Nella mappa del gioco online Fortnite, i giocatori possono fare il pieno presso una stazione di servizio Shell, possono vincere carte regalo Shell per un “viaggio da sogno” e sono invitati a scattare screenshot del gioco e a pubblicarli sui social media utilizzando l’hashtag #Shellroadtrips. L’obiettivo di campagne come questa è quello di “corteggiare” i giovani e cambiare la percezione sociale del proprio prodotto fossile, sostengono gli esperti. 

“La campagna di Shell su Fortnite è uno di quegli strumenti attraverso cui l’industria petrolifera cerca di avvicinarsi ad una platea di giovani o molto giovani che tendenzialmente potrebbe essere ostile ai combustibili fossili”, spiega Grasso. “[La campagna di disinformazione] avviene su più livelli ed è sempre più capillare, anche attraverso forme di infiltrazioni di questo tipo. Shell cerca in qualche modo di avvicinarsi al mondo dei giovani infiltrandosi in un videogioco perché l’industria petrolifera ha molto timore che le giovani generazioni si disamorino dei combustibili fossili e comincino a rifiutarli completamente”.

I numeri che queste campagne riescono a raggiungere non sono trascurabili. Secondo il centro di ricerca e informazione statunitense Media Matters, almeno sei “streamer” su Twitch con un seguito complessivo di oltre 5,5 milioni di persone hanno promosso la campagna e il prodotto Shell durante stream sponsorizzati che hanno ottenuto oltre 1 milione di visualizzazioni. Tre di questi hanno promosso gli stream sponsorizzati anche su Instagram e TikTok. Gli “streamer” hanno quasi 8 milioni di follower su TikTok e 1,2 milioni di follower su Instagram. Oltre a Twitch, Media Matters ha identificato almeno altri tre creatori di contenuti che hanno promosso la campagna in diversi video sponsorizzati da Shell sui loro canali YouTube, Instagram e TikTok. Questi hanno complessivamente 1,5 milioni di follower su Instagram, 8,5 milioni di follower su TikTok e 11,6 milioni di iscritti a YouTube.

Questa, però, non è la prima volta che un’azienda di gas e petrolio utilizza influencer per le proprie campagne promozionali. A luglio, un’inchiesta della testata climatica DeSmog ha concluso che alcune tra le più grandi aziende di gas e petrolio, tra cui Shell e BP, usano influencer nel Regno Unito per promuovere quelle che vengono chiamate “false soluzioni” alla crisi climatica e per diffondere una percezione positiva del proprio prodotto inquinante ai giovani e alle famiglie. DeSmog ha analizzato i casi di oltre 100 influencer pagati per promuovere le aziende di combustibili fossili in tutto il mondo dal 2017, dagli Stati Uniti alla Malesia, e ha concluso che sono campagne che hanno raggiunto miliardi di persone. Le campagne, fa notare l’inchiesta, fanno parte di uno sforzo globale per dare “ai millennial un motivo per connettersi emotivamente” con le aziende del settore petrolifero e del gas, oltre che per trasformare in positivo la percezione sociale del settore. 

Dietro la strategia promozionale c’è una delle principali agenzie di relazioni pubbliche del fossile, Edelman. Sul suo sito web si legge che l’iniziativa ha raggiunto organicamente 600 milioni di persone sui social media e ha avuto un tale successo da aumentare del 12% gli “atteggiamenti positivi nei confronti di [Shell]” e da rendere il pubblico di Shell “più propenso del 31% a credere” che la compagnia petrolifera sia “impegnata a produrre carburanti più puliti”. Il sito di Edelman, inoltre, riporta: “Avevamo bisogno che dimenticassero i loro pregiudizi sulle ‘grandi compagnie petrolifere’ e pensassero a Shell in modo diverso”.

Grasso sottolinea che questa strategia è per la maggior parte trasversale al settore, e che anche in un documento di briefing della compagnia di petrolio e gas BP di gennaio 2020 - trapelato e pubblicato dalla giornalista Amy Westervelt - viene posta una domanda simile: “Come possiamo conquistare la fiducia delle giovani generazioni che hanno la voce più potente e che conteranno di più in futuro?”. E in risposta, il documento BP delinea la stessa strategia: “Continueremo a raggiungere gli influencer. Ma c'è un divario intergenerazionale nella società e dobbiamo raggiungere i più giovani”. Oggi le aziende fossili, spiega Grasso, “adottano tecniche ancora più sofisticate di greenwashing, soluzionismo fossile e di promesse di ‘net zero’ lontane nel tempo, ma concretamente perseguono piani industriali ancora largamente incentrate sui combustibili fossili”.

Le aziende inquinanti hanno sempre più bisogno di presentarsi al pubblico e agli investitori come “verdi”, per evitare la propria responsabilità per la crisi climatica e per promuovere la percezione sociale che siano attori “buoni”. Per questo, il greenwashing è in aumento e si esprime attraverso una comunicazione ingannevole o fuorviante. Uno studio pubblicato nel maggio 2023 ha rilevato che una sola esposizione a due spot pubblicitari di 30 secondi sui combustibili fossili contenenti greenwashing è sufficiente a influenzare positivamente l’opinione degli individui sull’attività dell’industria fossile nella transizione verso le energie pulite. Lo studio ha anche concluso che questo greenwashing ha effetti preoccupanti e persistenti poiché una successiva presentazione di dati accurati sugli investimenti effettivi delle aziende nelle fonti di energia rinnovabile, rispetto a quanto dichiarato negli spot, non inverte né corregge l'impatto ingannevole iniziale degli spot pubblicitari. Pur essendo sempre più diffuso, il greenwashing non è nuovo. A metà degli anni '80, la campagna pubblicitaria “People Do” – considerata un caso storico di greenwashing di Big Oil – mostrava i dipendenti Chevron mentre proteggevano la fauna selvatica. Questa campagna distoglieva l’attenzione dall’impatto ambientale dell’azienda e ingannava il pubblico nel mostrare Chevron come un’azienda attenta alla protezione ambientale. 

"Agevolatori" e lobby fossili 

Le aziende pubblicitarie e di relazioni pubbliche sono state centrali per sviluppare le strategie ingannevoli di Big Oil. Uno studio pubblicato nel 2021 sottolinea quanto questi attori siano coinvolti nei processi di formazione della cultura climatica e ambientale, del dibattito pubblico sul tema e di creazione dell’immaginario e delle strategie di vendita. Le autrici Melissa Aronczyk e Maria I. Espinoza le chiamano “strategie del silenzio” e, nel loro libro ‘Strategic Nature’, evidenziano come il loro ruolo sia quello di creare ed eseguire strategie per i propri clienti Big Oil rimanendo invisibili. “La campagna di disinformazione ormai è abbastanza risaputo che sia stata orchestrata finanziata e progettata ormai in larga misura dall’industria petrolifera e da quelli che il Segretario Generale delle Nazioni Unite chiama i suoi ‘enablers’, cioè tutta questa costellazione di attori che supportano l’industria petrolifera”, ha aggiunto Grasso. 

I sociologi l’hanno chiamata “macchina del negazionismo climatico”. Oggi potrebbe essere rinominata “macchina dell’ostruzionismo climatico”, e include tutti quegli attori e sforzi volti a impedire o ritardare un’azione per il clima, dalle aziende inquinanti che fanno greenwashing ai gruppi di pressione e lobby che influenzano direttamente la politica secondo gli interessi del settore, e ancora dai rappresentanti politici che ricevono finanziamenti per ostacolare la legislazione sul clima, alle piattaforme mediatiche che ancora oggi ospitano negazionisti climatici o sponsorizzazioni fossili. 

L’azione per il clima, infatti, è influenzata in maniera massiccia anche a livello politico, in particolare dall’attività di lobbying del settore fossile. Solo nel 2022, l’industria petrolifera e del gas ha speso circa 124,4 milioni di dollari per esercitare pressioni sul governo degli Stati Uniti contro la legislazione climatica, secondo un’analisi di OpenSecrets. Un’altra analisi pubblicata nel 2022 dalle organizzazioni Global Witness e Corporate Accountability e Corporate Europe Observatory ha concluso che più di 630 lobbisti del settore fossile hanno avuto accesso alla conferenza globale per il clima delle Nazioni Unite dell’anno scorso, detta Cop27. Anche a livello europeo, il lobbying fossile ha un impatto significativo. Un rapporto ha mostrato come, tra il 2010 e il 2018, le cinque maggiori compagnie fossili e le loro lobby, Shell, Exxon, Chevron, BP e Total, hanno speso 251,3 milioni di euro per ostacolare la legislazione di protezione ambientale e climatica.

Secondo l’organizzazione non-profit Influence Map, l'italiana Eni mantiene l’adesione a diverse associazioni industriali che, a livello europeo, contrastano le politiche sul cambiamento climatico, “promuovendo il ruolo a lungo termine del petrolio e del gas nel mix energetico”.

Il dubbio come “prodotto”, tra media e politica

“Il dubbio è il nostro prodotto, poiché è il mezzo migliore per competere con lo ‘stato dei fatti’ che esiste nella mente del grande pubblico”, dice un documento del 1969 della Brown & Williamson, un produttore di sigarette. Vendere “il dubbio come prodotto” è stata una delle strategie più efficaci delle aziende di tabacco, ripresa in seguito dal settore fossile. Quando gli interessi, il potere e i profitti sono stati minacciati da una regolamentazione governativa, le aziende produttrici di combustibili fossili e i loro gruppi industriali hanno iniziato ad assumere falsi esperti e a esercitare pressioni politiche per mettere in dubbio la scienza del clima.

Nel 2005, per esempio, il «New York Times» ottenne dal Government Accountability Project alcuni documenti che mostravano come Philip Cooney, capo di stato maggiore ed ex lobbista della potente associazione industriale American Petroleum Institute, aveva manipolato i rapporti scientifici delle agenzie governative per seminare dubbio sulla scienza del clima e ridurre al minimo la regolamentazione sulla riduzione delle emissioni di carbonio. Dopo essere stato costretto a dimettersi, Cooney andò a lavorare per la Exxon. “Vendere il dubbio” è una strategia che ha avuto successo in passato e ha successo ancora oggi, sia a livello politico che mediatico. In Italia, alcune piattaforme mediatiche mainstream, incluse testate e trasmissioni televisive, continuano a ospitare negazionisti climatici, inclusi rappresentanti politici, e a promuovere, tra gli altri, il messaggio che la scienza del clima sia incerta sull’esistenza del cambiamento climatico prodotto dall’attività umana, ingannando il pubblico e contribuendo a creare disinformazione, propaganda e confusione sul tema. 

“Questo approccio strumentale della politica e dei media alla questione climatica è stata, tra l’altro, rilevata dall’ultimo documento pubblicato da Papa Francesco che ribadisce ancora il ruolo centrale e pericolosissimo proprio del negazionismo”, ha detto Grasso. “Questa impasse che stiamo vedendo è piuttosto drammatica perché abbiamo già perso tanto tempo”. 

La strategia del dubbio si insinua su più fronti. L’azione per il clima non è ostacolata solo da strategie comunicative, finanziamenti e lobbying, ma anche dal fatto che il cambiamento climatico, pur essendo un problema fisico, osservabile e tangibile, è stato politicizzato, proprio per renderlo più facilmente dubitabile. “A partire dagli Stati Uniti [la questione clima] è stata marcatamente resa una questione ideologica, ed è stata avvelenata dalla politicizzazione,” afferma Grasso. I nostri leader politici, a livello globale, hanno molta difficoltà a mettere in discussione il modello di sviluppo che è stato perseguito finora e che, in modo sempre più evidente, non si può più usare perché è incompatibile con la salute dell’umanità e degli ecosistemi”. “Alla base,” sostiene Grasso, “è una questione di difficoltà nell’accettare un cambiamento radicale, nel mettere in discussione lo status quo”.  

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