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Marco biondi 1
Marzo 24, 2023
Giustizia Climatica

In Italia il cambiamento climatico è ancora considerato un’opinione e gran parte dei media ne sono responsabili

Approfondimento di Marco Biondi

Ma davvero si può ancora negare o dare voce a chi nega la crisi climatica? Il 23 gennaio 2023, il capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato Lucio Malan, commentando in modo provocatorio l'arrivo della neve a Ragusa, scrive su twitter "il cambiamento climatico non perdona". Poche settimane prima, il giornalista Vittorio Feltri, sempre su twitter, scrive: "L’estate è stata in effetti troppo calda, ora l’inverno si annuncia polare. Cambiamento climatico o no ci lamentiamo ora come 50 anni fa". Anche Carlo Calenda senatore e segretario del partito Azione, riferendosi all’obiettivo fissato dalla Commissione Europea di raggiungere la neutralità climatica nel 2050, ha dichiarato "gli obiettivi sul clima sono stati dati perché il 2050 suonava bene”. 

Di fronte a queste esternazioni, il mondo dell'informazione resta spettatore passivo. La copertura mediatica della crisi climatica avviene in modo discontinuo e superficiale, quando accadono stragi come il crollo del ghiacciaio della Marmolada dello scorso luglio o la frana di Ischia, ad esempio. Oppure quando un gruppo di giovani protesta pacificamente, come gli attivist* di Ultima Generazione

Ma come è possibile che i principali canali di informazione continuino a concedere spazio a voci e persone non esperte di crisi climatica? Perché gran parte dei media confonde il diritto al contraddittorio, dando il microfono a voci che non si basano sui dati scientifici? La crisi climatica non è un'opinione. È un fatto. E i fatti hanno bisogno di dati scientifici ed esperti. Non di opinionisti.

Giorgia Ivan, divulgatrice scientifica del gruppo “Scientists For Future - Italia”, spiega a Voice Over Foundation quali sono gli impatti di questo modello informativo sulle persone. «Molte volte accade che le persone non credano alla crisi climatica, nonostante faccia loro vedere dati e report di IEA, o IPCC, sostanzialmente i maggiori esperti sul campo. Anche i toni pacati non servono, non è facile. Non solo è difficile comunicare al meglio la crisi climatica, è complicato anche contrastare i pregiudizi verso il genere femminile».

Durante la Cop di Glasgow, l’ex primo ministro inglese Boris Johnson fece un discorso sull’emergenza climatica che in Italia verrebbe fatto solo da politici dell’area verde o della sinistra: «Siamo nella stessa situazione di un film di James Bond; la tragedia è che questo non è un film, la bomba dell’apocalisse che ci minaccia è reale, l’orologio procede al ritmo furioso di centinaia di miliardi di pistoni, fornaci, motori con cui pompiamo carbonio nell’atmosfera sempre più velocemente». Il fatto che a pronunciare queste frasi sia stato un Conservatore è un chiaro segnale delle differenze presenti tra Italia e altri Paesi nel modo in cui vengono trattati questi temi nel mondo dell’informazione. 

Secondo Ferdinando Cotugno, giornalista che si occupa di clima e autore del libro Primavera Ambientale, Edizioni il Margine, si tratta di «un limite culturale italiano quello di prendere sottogamba l’argomento del cambiamento climatico. Uno dei primi leader conservatori a impegnarsi sul tema fu Cameron nel 2006, visitando l’Artico per sensibilizzare sul cambiamento climatico. Anche la ministra dell’ambiente svedese Romina Pourmokhtari, facente parte di un governo di destra, ha posto la lotta al cambiamento climatico al centro dell’agenda. Il problema principale risiede nella televisione dove il cambiamento climatico viene ancora considerato un'opinione». A giugno 2022, il climatologo Luca Mercalli abbandona lo studio di Cartabianca (Rai 3) a seguito della discussione con il giornalista de La Verità Stefano Borgonovo, che stava sostenendo tesi negazioniste. Il paradosso più grande, come spiega Cotugno, è che, durante le elezioni del 2022, nessuno dei partiti politici aveva contenuti negazionisti nel programma elettorale, come riporta l’indice di impegno climatico promosso da Italian Climate Network. «Purtroppo i talk show sono sostanza politica più dei programmi politici, perché è lì che il più delle volte si forma l’opinione dell’elettore medio, e la televisione è ancora più determinante dei social network visto che l’Italia è un paese molto anziano. Quando i telegiornali nei loro servizi dicono che per fortuna il bel tempo ci ha aiutato a risparmiare gas, dimenticano che 22 gradi a dicembre non sono bel tempo, sono una catastrofe. Magari non è negazionismo, ma è una zona grigia scientificamente inaccettabile». 

Secondo Stella Levantesi, giornalista e autrice del libro “I bugiardi del clima, Editori Laterza”, il messaggio che spesso viene trasmesso è che questa crisi, in realtà, non sia un problema urgente: «si accusa di allarmismo chi cerca di portare alla luce il problema e evidenzia le cause, e si continua a screditare attivisti e scienziati. Un altro tema serio è la mancanza di informazione accurata su quelle che sono le cause della crisi climatica e su quelli che sono gli attori che hanno contribuito a crearla. Sappiamo che una grandissima fetta di responsabilità è delle aziende di combustibili fossili ma molto spesso, quando si parla di temi energetici, questo collegamento non viene fatto. Una delle conseguenze è che poi il tema energetico venga inquadrato in una prospettiva che non contempla le politiche climatiche». Questa problematica, spiega la giornalista, è direttamente collegata al greenwashing, una strategia utilizzata dalle aziende del settore, da alcuni politici, presente anche nella sfera dell’informazione e della comunicazione soprattutto dove c’è un’intenzione a disinformare per ragioni politiche, ideologiche o economiche.

Basti pensare alle sponsorizzazioni delle aziende di combustibili fossili di intere sezioni clima e ambiente di alcuni giornali, come quelle di Eni sul Corriere: «queste pubblicità e sponsorizzazioni permettono alle aziende fossili di mantenere una legittimità sociale agli occhi del pubblico, facendo apparire la propria attività come sostenibile», dice la giornalista. Il mondo dell’informazione ha una grande responsabilità nella comunicazione della crisi climatica. Ospitando voci negazioniste, alcune testate o trasmissioni portano avanti un messaggio sbagliato sulla crisi climatica perché sembra che il dibattito sull’esistenza di questo fenomeno sia ancora in corso. Questo, spiega Levantesi, «ritarda il processo di formazione di soluzioni contro il riscaldamento globale». 

Osservando la comunicazione dei giornali e delle tv su temi come la pandemia o il cambiamento climatico, emerge un'altra dinamica che chiama in causa il rapporto dei media in Italia con il mondo scientifico e accademico. Come dice Levantesi: «molto spesso vengono interpellati degli esperti che non lo sono e che esprimono una propria posizione ideologica. Quando lo sono, non sono necessariamente esperti nel campo di cui si parla. Ad esempio, vengono intervistati economisti per parlare di scienza del clima, lasciando passare il messaggio che possano parlarne in maniera accurata tanto quanto un climatologo».

Ma allora perché molte dichiarazioni impresentabili e antiscientifiche fatte da politici e giornalisti vengono tollerate e accettate senza nessuna conseguenza? Secondo Cotugno questo dipende dal “fatalismo climatico”, ovvero la convinzione che il problema sia scollegato da responsabilità individuali e collettive. Per il giornalista, una sensibilizzazione più efficace sul cambiamento climatico deve uscire dalla logica della paura: «la paura ha un mercato molto competitivo che ha compiuto il suo ciclo storico, la vera sfida è raccontare la possibilità di come tutto questo possa essere attenuato, mitigato e fermato. Questo è il tipo di contenuto che è importante portare nel dibattito pubblico». 

Per ottenere un dibattito meno inquinato e formare cittadini del domani, sarebbe auspicabile ridurre il numero di talk show dando più rilevanza a programmi di divulgazione scientifica, documentari e lunghi approfondimenti capaci di offrire un’informazione seria, articolata e di interesse pubblico. Le frane, gli eventi climatici estremi come alluvioni, piogge abbondanti, tempeste, sono il risultato di scelte politiche ed economiche. E vanno dunque raccontati mettendo al centro anche il modo in cui si è costruito, si è modificato il paesaggio e distrutto l’ambiente. Portando al centro le cause, le conseguenze e offrendo soluzioni. 


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