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Julian Assange
Febbraio 19, 2024
DIRITTI UMANI

Non si punisce chi compie crimini di guerra ma chi li denuncia: perché il caso Assange è una condanna a morte alla libertà di stampa

Approfondimento di Andrea Carcuro

Forse non tutti lo ricordano, ma se i crimini di guerra compiuti dagli Stati Uniti in Iraq ed Afghanistan sono stati resi pubblici, il merito è di Julian Assange, giornalista australiano, attivista e fondatore di Wikileaks. Assange è attualmente detenuto in una cella due metri per tre da quasi mille e ottocento giorni, nel carcere di alta sicurezza londinese Her Majesty Prison Belmarsh. Una persecuzione politica e giudiziaria che va avanti dal 2010 e che ha come obiettivo quello di punire Assange solo o per aver fatto il suo lavoro. Solo per essere un giornalista che ha denunciato le numerose violazioni dei diritti umani compiute dall’esercito statunitense.

È per questo motivo che la potenziale estradizione di Julian Assange ha implicazioni sui diritti umani che vanno ben oltre il suo caso individuale, e molto - anzi tutto - passa dalla decisione dell’Alta Corte del Regno Unito che, il prossimo 20 e 21 febbraio a Londra, si riunirà per decidere se il giornalista e fondatore di Wikileaks ha ancora la possibilità di opporsi all’estradizione richiesta dagli Stati Uniti d’America. 

Se estradato, Assange rischia 175 anni di carcere solo per aver ottenuto e pubblicato su Wikileaks nel 2010 migliaia di documenti secretati - di interesse pubblico - che provano i crimini di guerra degli Stati Uniti durante le operazioni in Iraq e Afghanistan. Torture, uccisioni deliberate di civili inermi e dei loro soccorritori, anche bambini e giornalisti. 

Lo scorso 6 febbraio la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Alice Jill Edwards, ha chiesto al Regno Unito di fermare l'estradizione, affermando che, se dovesse andare avanti, Assange sarebbe altamente esposto ad un rischio di tortura e maltrattamenti, visto già il suo forte stato depressivo. In aggiunta, se il Regno Unito decidesse di estradare Assange violerebbe l’articolo 4 del trattato di estradizione tra Stati Uniti e Regno Unito, che lo vieta per reati politici. 


Il giornalismo non è un reato


Quello ad Assange è a tutti gli effetti un processo politico al giornalismo d’inchiesta. La persecuzione nei suoi confronti è il sintomo, che rischia sempre più di cronicizzarsi, di un malanno che colpisce da tempo lo stato di salute delle democrazie occidentali. Un modello quello delle democrazie liberali, spesso rivendicato, ma che alla prova dei fatti si presenta sempre più ostile a forme di dissenso: il giornalismo d’inchiesta come quello di Julian Assange dà fastidio perché si pone come ultimo baluardo alla dilagante impunità di crimini di guerra e contro l’umanità.

«Quando sono nate le democrazie, abbiamo messo a loro fondamento la libertà di stampa, grazie alla quale come cittadini abbiamo il diritto di sapere se i governi stanno agendo o meno nell'interesse pubblico. Per questo la stampa deve essere libera, perché come giornalisti dobbiamo essere liberi di indagare ed esprimerci, non limitandoci a riportare passivamente comunicati stampa di governi, istituzioni o grandi aziende», sottolinea a Voice Over Sara Chessa, giornalista che segue da tempo il caso Assange.

Chessa ha iniziato a raccontare la vicenda per Independent Australia nel 2019, anno dell’arresto di Assange dopo che l’Ecuador - sotto pressioni statunitensi - ha revocato l’asilo concessogli nella sua Ambasciata a Londra nel 2012. Allora il presidente ecuadoriano Rafael Correa offrì protezione ad Assange giudicando fondate le sue preoccupazioni di un'eventuale estradizione negli Stati Uniti. 

Essendo Assange un cittadino australiano, Independent Australia si è subito spesa in sua difesa e Chessa ha raccontato con una intervista all’ex ministro degli Affari Interni dell’Islanda, Ögmundur Jónasson, il momento in cui «cacciò l’FBI dal suo paese perché aveva detto di essere lì per difendere il governo islandese da un attacco hacker». Jónasson scoprì invece, attraverso i suoi servizi di intelligence, che la presenza dell’FBI era dovuta ad un tentativo di incastrare Assange. 


Il modello Assange


Il motivo principale dietro il tentativo di incastrare - e processare - Assange sta tutto nel suo modello di attivismo e giornalismo: «portare gli stati occidentali, e soprattutto gli Stati Uniti, a politiche di pace attraverso la verità; dare un’altra immagine della guerra mostrando tutte le violazioni ordinarie e sistematiche dei diritti umani di cui si sono macchiati in Iraq e Afghanistan», evidenzia Chessa. Il tutto con l’obiettivo di smontare la falsa retorica delle guerre come esportazione della democrazia e contrastare l’influenza che ha la lobby delle armi e l’intero complesso militare industriale internazionale sugli stati. Un giornalismo «al servizio del diritto alla conoscenza», le cui prove non sono mai state smentite, che si trova invece di fronte ad un plateale caso di censura; un attacco deliberato al diritto dei popoli, sancito dalle carte dei diritti umani universalmente riconosciute, di conoscere le azioni dei propri governanti. Tutto ciò segnerebbe un pericolosissimo precedente a giustificazione di una forte repressione della libertà d’informazione. È della stessa idea anche Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia che, a Voice Over, rimarca il cortocircuito a cui sta portando il processo politico e giudiziario al fondatore di Wikileaks. «L’attacco alla libertà di stampa viene da lontano, almeno dal lancio della "guerra al terrore": o si è embedded [giornalista che lavora in una zona di guerra al seguito di un esercito, accettando la protezione ma anche le limitazioni imposte alla propria libertà di espressione, ndr] o si è nemici, fino al punto da venir eliminati fisicamente. L'obiettivo, attraverso minacce, arresti, condanne, procedimenti giudiziari farsa e omicidi, è quello di zittire, non far sapere». Nel caso Assange, denuncia Noury, «se verrà estradato si stabilirà un fatto unico: a proposito di crimini di guerra non saranno puniti coloro che li hanno commessi ma colui che li ha rivelati».

Un monito rimarcato dalla stessa Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa che, ad un anno dall’arresto, il 28 gennaio 2020 all’interno della risoluzione 2317/2020 in materia di “Minacce alla libertà dei media e alla sicurezza dei giornalisti in Europa”, ha approvato all’unanimità un emendamento in cui indica a tutti gli Stati Membri dell’Unione di considerare la detenzione e i procedimenti penali contro Julian Assange un precedente pericoloso per i giornalisti. Un appello che ha fatto seguito a quello dell’allora relatore all'ONU sulla tortura e trattamenti inumani, Nils Melzer, che già nel 2019 ha esortato a più riprese i quattro governi coinvolti nella vicenda giudiziaria (Australia, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia) ad astenersi da ulteriori atti pregiudizievoli per i diritti umani di Assange e ad adottare misure per fornirgli un risarcimento e una riabilitazione appropriati. Secondo Melzer negli USA non gli verrebbe garantito un giusto processo: l'estradizione lo esporrebbe al rischio di imputazione per diversi reati tra cui quello di spionaggio, perseguibile secondo l'Espionnage Act, risalente al 1917.


Perchè non parlare di spionaggio


È fondamentale però ribadire che Julian Assange non è accusato di spionaggio, bensì di aver ottenuto e divulgato documenti riservati. La differenza potrebbe sembrare sottile, ma non lo è, anzi, come scrive su X la giornalista Stefania Maurizi, dire che Assange è stato accusato di spionaggio significa prestarsi al gioco delle autorità statunitensi che vogliono distruggerlo. Così facendo si stanno «mettendo nella stessa scatola spie, che vendono documenti riservati al nemico, e giornalisti, che pubblicano informazioni riservate per esporre crimini di guerra e torture».

Se il 20 e 21 febbraio dall’Alta Corte del Regno Unito dovesse arrivare un responso negativo riguardo la possibilità di ulteriore appello, ad Assange non resterebbe che l’ultima via di un ricorso alla CEDU, la Corte europea dei diritti dell'uomo - accessibile solo dopo aver esperito tutti i tribunali interni - che, però, il governo conservatore britannico continua ad ignorare e non riconoscere.

D’altro canto, indipendentemente da cosa uscirà dall’Alta Corte il modello Assange ha rappresentato un faro per tutti gli attivisti e attiviste, giornalisti, giornaliste e whistleblowers che lottano quotidianamente affinché la libertà di stampa venga tutelata e resti indipendente da ogni governo e ogni altra forma di potere, economico e politico.  

Questo è soprattutto grazie all'enorme mobilitazione che ha fatto da megafono alla vicenda e che ha permesso di non far calare l’attenzione sull'inestimabile lavoro d’inchiesta del fondatore di Wikileaks.

«Una corte degna di questo nome dovrebbe respingere la richiesta di estradizione negli USA anche in assenza di qualsiasi mobilitazione in suo favore - fa notare schiettamente Riccardo Noury - un'eventuale estradizione getterebbe una secchiata di ghiaccio nella schiena del giornalismo d'inchiesta. Altri stati potrebbero sentirsi legittimati ad andare ad acciuffare, per riportarli a casa, giornalisti che hanno cercato riparo altrove».

Un giornalismo d’inchiesta e di interesse pubblico è alla base di uno stato di diritto. Diffondere informazioni sulle azioni dei governi è l’essenza della libertà di stampa e d’espressione e il processo ad Assange per la diffusione di 251.000 documenti diplomatici statunitensi - che mai avremmo scoperto senza di lui - molti dei quali secretati, ma macchiati del sangue di civili innocenti, ci ricorda quanto il suo lavoro sia inestimabile per la tutela internazionale dei diritti umani.


Collateral Murder [Fonte, Wikileaks aprile 2010]


https://collateralmurder.wikileaks.org/


Wikileaks il 5 aprile 2010 ha pubblicato questo video - ottenuto da fonti anonime militari e con verifiche incrociate tra diversi testimoni - che mostra l'uccisione indiscriminata di oltre una dozzina di persone nel sobborgo iracheno di New Baghdad, inclusi due giornalisti di Reuters; testata a cui erano stati negati i filmati richiesti attraverso un Freedom of Information Act. Il video, girato dal mirino di un elicottero Apache, mostra l'uccisione ingiustificata di un dipendente Reuters e dei suoi soccorritori. Sono rimasti gravemente feriti anche i due bambini coinvolti nei soccorsi. Dal 2003 al 2009, 139 giornalisti sono stati uccisi in Iraq mentre svolgevano il loro lavoro.

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