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slapp
Dicembre 18, 2023
DECOLONIZING NARRATIVE

In Italia chi manifesta, critica o scrive contro il potere è sempre più a rischio

Approfondimento di Chiara Pedrocchi

Una democrazia non vacilla nel momento in cui esistono voci che dissentono ma nel momento in cui queste vengono represse. In Italia sono sempre più diffuse le querele e le azioni legali volte a intimidire e silenziare giornalist3, attivist3, cittadin3 e membri della società civile che si mobilitano contro determinati abusi e ingiustizie. A denunciare le voci più critiche sono spesso esponenti politici, aziende o multinazionali con grande disponibilità economica e influenza nel sistema mediatico, spesso finanziato o controllato dagli stessi. La quasi assenza di un giornalismo di interesse pubblico e il restringimento degli spazi civici limitano la formazione di un pensiero critico; di conseguenza sempre meno cittadin3 sono consapevoli e informat3 sulle reali emergenze.

Sono stati questi i temi al centro della conferenza “Slapp! Uno schiaffo alla libertà d’espressione contro giornalist* e società civile”, tenutasi il 10 ottobre 2023 presso l’Università Statale di Milano e organizzata da Voice Over Foundation in collaborazione con UniLibera Milano. L’evento fa parte di “Decolonizing Narrative”, ciclo di seminari con lo scopo di decolonizzare il linguaggio e cambiare la narrazione dominante su urgenze come la crisi climatica, la migrazione o la situazione in Palestina. 


Cosa sono le Slapp? Definizione e situazione in Italia. 


Le Slapp, acronimo anglosassone di Strategic Lawsuit Against Public Participation, sono azioni legali strategiche contro giornalist3 e difensori dei diritti umani. Per essere definite tali, in genere, vi è uno squilibrio di natura finanziaria o di potere tra querelante e querelato. L’obiettivo delle Slapp è quello di silenziare e intimorire le voci più critiche, limitando così il dibattito su questioni di interesse pubblico, e dissuadendo altre persone dal mobilitarsi. “Si parla di Slapp quando l’azione legale vuole silenziare questioni che riguardano la salute pubblica, il clima, l’ambiente, la sicurezza e più in generale i diritti fondamentali”, spiega Sielke Kelner, ricercatrice e advocacy officer per Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa nell’ambito del Media Freedom Rapid Response e coordinatrice del gruppo italiano anti Slapp. 

Secondo il report di CASE (Coalition Against Slapps in Europe), il 2022 è stato l’anno in cui in Europa è stato registrato il più alto numero di Slapp, per un totale di 161 casi. Già nel 2018, l’Italia aveva registrato l’aumento maggiore nel numero di segnalazioni pervenute alla Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti. 

Nel 2023 Civicus, un’organizzazione internazionale che monitora la situazione degli spazi civici, l’accesso alle informazioni e la possibilità per la società civile di interagire con il decisore pubblico in modo aperto e trasparente, ha assegnato all’Italia un punteggio di 76 punti su 100. È un punteggio nella media, ma lo spazio civico del Paese è definito narrowed, cioè ristretto. 

Un esempio riguarda i fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza): tra i requisiti fondamentali per l’accesso alle risorse da parte delle istituzioni europee c’era il coinvolgimento della cittadinanza e degli stakeholder. “Con la scusa dell’urgenza, in Italia, la partecipazione è a lungo mancata”, denuncia Federico Anghelé, fondatore e direttore della sede italiana di The Good Lobby, un'organizzazione non profit impegnata a rendere più democratica la società in cui viviamo. L’Osservatorio civico PNRR, di cui The Good Lobby fa parte ha, infatti, ottenuto l’accesso alla cabina di regia del governo Meloni solo il 28 ottobre, dopo mesi di richieste ignorate, una petizione di oltre 10mila firme e un mailbombing che ha portato all’invio di quasi 7mila e-mail a Raffaele Fitto, ministro per gli Affari Europei, per le Politiche di Coesione e per il PNRR, e ai suoi più stretti collaboratori. Secondo Anghelé, “in Italia gli interessi particolari hanno più voce in capitolo rispetto agli interessi generali. Inoltre, non esiste un quadro normativo che faciliti la partecipazione degli stakeholder e dei cittadini alle scelte politiche che hanno un impatto su di tutti”. Il compito di una democrazia liberale dovrebbe essere quello di tutelare i diritti e le libertà individuali, incluse la libertà di pensiero e quella di stampa. In questo momento in Italia non è così.


Le azioni legali contro l3 giornalist3 limitano il diritto ad essere informati  


Secondo il report di Freedom House, organizzazione internazionale che si occupa di democrazia, libertà politiche e diritti umani, in Italia la concentrazione della proprietà dei media nelle mani di pochi è il più grosso ostacolo alla libertà di espressione. A questo si aggiungono le intimidazioni della criminalità organizzata che, oltre alla libertà di espressione, mettono seriamente in pericolo il diritto ad essere informati e il controllo del potere. 

Secondo Lorenzo Bagnoli, giornalista e co-direttore di IrpiMedia, testata giornalistica e primo centro di giornalismo di inchiesta in Italia, la maggior parte delle querele nei confronti dell3 giornalist3 sono portate avanti da imprenditori che spesso hanno legami anche con la politica. In questi anni IrpiMedia ha ricevuto numerose denunce e richieste di risarcimenti. Queste azioni hanno un impatto sulla sostenibilità di una piccola testata indipendente di inchiesta e sull’energia di chi ci lavora. 

Non solo. Le querele e le azioni legali spesso generano forme di autocensura. Una delle soluzioni, sottolinea Bagnoli, è “darsi un metodo serio, accurato, basato sui fatti per tutte le inchieste, evitando di scrivere nomi di persone che sono marginalmente coinvolte”. Un metodo non sempre seguito all’interno delle redazioni dove l3 giornalist3 sono costrett3 a lavorare a cottimo, pubblicando più articoli al giorno e lavorando in una condizione che non permette un controllo sulla qualità di ciò che si scrive e che viene pubblicato. 

Ma le querele arrivano anche dopo anni, quando si esercita il diritto di cronaca. È il caso di Lorenzo Frigerio, giornalista e scrittore, coordinatore di Liberainformazione, Osservatorio sull'informazione per la legalità e contro le mafie e referente regionale di Libera Lombardia. A causa di un articolo pubblicato nel 2016 in cui prendeva le difese di un collega infangato da Telesud, un’emittente televisiva di Trapani, l’editore ha avviato una causa civile per diffamazione. La causa è stata rigettata dal Tribunale di Roma sette anni dopo, a gennaio del 2023. Per il tribunale, Frigerio aveva esercitato il diritto di cronaca e di critica. Questo a dimostrazione che i casi di Slapp si protraggono per anni, pesando sulla salute mentale e sul lavoro dell3 giornalist3.

Oltre alle querele, esistono altre forme più subdole per limitare il diritto dell3 cittadin3 ad essere informat3: tra queste la deindicizzazione degli articoli, un meccanismo che li rende invisibili ai motori di ricerca, regolato dalla riforma Cartabia del 2022. Una riforma che ha introdotto diverse modifiche al processo penale, cristallizzando il diritto all’oblio e dando la possibilità a una persona che è stata prosciolta di richiedere una deindicizzazione dei contenuti online che la riguardano. 


La criminalizzazione della società civile 


I giornalisti non sono gli unici a subire Slapp e pressioni per la loro attività di informazione pubblica. Anche per attivist3, cittadin3 e membri della società civile la situazione non è migliore. Per esempio, ad aprile del 2023 è stato proposto dal governo Meloni il decreto legge 693, chiamato “Decreto Eco-vandali”. La proposta non è stata approvata, ma il 27 ottobre 2023 è stato presentato su iniziativa del deputato leghista Gianangelo Bof un nuovo ddl che prevede la penalizzazione del blocco stradale con il proprio corpo con reclusione fino a tre anni. Queste iniziative del governo puntano a intimorire le azioni della società civile come Ultima Generazione. Di questa organizzazione fa parte anche Simone Ficicchia, il quale ha partecipato a diverse dimostrazioni di disobbedienza civile, come l’imbrattamento con vernice lavabile della Scala di Milano per denunciare l’inazione del governo verso la crisi climatica. È proprio per questa sua azione che Ficicchia ha ricevuto una richiesta di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, poi rigettata dal Tribunale di Milano.

In Italia chi protesta contro gli aiuti pubblici a sostegno delle multinazionali del gas e del petrolio e propone alternative e misure concrete come un fondo di riparazione viene sistematicamente multato (per ogni blocco stradale ciascun attivista riceve 1.333 euro di multa). Nel frattempo, gli eventi climatici estremi si moltiplicano in tutto il territorio ma continuano ad essere definiti “maltempo” dalla maggior parte dei “media mainstream” e, ancora più raramente, si collegano cause ed effetti della crisi climatica in corso, dando la responsabilità al sistema economico e industriale. 

Chi oggi protesta con pratiche e azioni non violente di disobbedienza civile sa di andare incontro alla repressione ma sa che non ci sono altre scelte. Come spiega Ficicchia, “la crisi climatica è una questione esistenziale che sta seriamente minacciando l’esistenza della specie umana”. 

La disobbedienza civile è una forma di lotta politica a cui possono fare ricorso l3 cittadin3 quando ritengono che l'autorità dello Stato sia andata al di là dei limiti del buon governo, cioè dei suoi doveri istituzionali, ma sempre di più, il suo esercizio è limitato dalla restrizione degli spazi civici, a partire dal diritto dell3 giornalist3 di documentare tali proteste. “Più volte le forze dell’ordine hanno impedito ai giornalisti di documentare le nostre proteste non violente. Per questo, dentro Ultima Generazione, abbiamo dato l’incarico di Observer ad alcune persone affinché siano monitorati gli abusi delle forze dell’ordine”, spiega Ficicchia. 

La limitazione dello spazio pubblico avviene anche con ciò che Kiran Chaudhuri, avvocata dell’European Legal Support Center (ELSC), organizzazione indipendente che difende associazioni, ONG, gruppi e individui che si battono per i diritti dei palestinesi nell'Europa continentale e nel Regno Unito, chiama “defunding”, ovvero il taglio dei fondi alle organizzazioni che si occupano di tutela della libertà. A questo proposito a novembre 2023 varie organizzazioni italiane, come Un Ponte Per e Associazione delle Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale (AOI), hanno firmato una lettera aperta sulla decisione di diversi Stati europei di sospendere e rivedere i finanziamenti alle ONG palestinesi e israeliane.

Un altro caso ancora di limitazione dello spazio civico è l’applicazione dell’IHRA working definition, ovvero la definizione di antisemitismo proposta dall’International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione che si occupa di promuovere la memoria sull’Olocausto. Questa non si limita a delineare il concetto ma fornisce anche esempi di quali atteggiamenti considerare antisemiti. Tra questi, la critica a Israele come responsabile di un regime di apartheid e i paragoni tra le politiche di Israele e quelle naziste. L’IHRA definition è adottata a livello nazionale e internazionale come policy non vincolante sull’antisemitismo ma, spiega Chaudhuri, “viene spesso applicata soprattutto a livello istituzionale come una vera e propria norma legislativa”. Chaudhuri riporta il caso della Germania dove, a livello nazionale, permane l’anti-BDS motion, cioè la mozione che mira a contrastare la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni nei confronti di aziende che sostengono la politica di apartheid di Israele.

Altri modi per silenziare il dissenso sono l’utilizzo di campagne di diffamazione e accuse di terrorismo, basate su politiche antiterroristiche spesso molto vaghe che colpiscono soggetti e organizzazioni critici rispetto alle politiche dello Stato di Israele. Tutto questo rischia di generare il cosiddetto Chilling Effect, cioè il timore di esercitare il proprio diritto di espressione, generato da politiche, pratiche o leggi che comportano conseguenze formali (sanzioni, cause legali) o informali (minacce, attacchi, diffamazioni).


Il punto di vista legale


Il diritto ad essere informati passa anche dall’accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni. Senza i documenti che, per legge, devono essere di pubblico dominio, l3 cittadin3 non possono essere informat3. “La limitazione dell’accesso alle informazioni è una strategia culturale: meglio che le persone non sappiano e non vedano, perché altrimenti qualcuno potrebbe porsi delle domande”, spiega Veronica Dini, avvocata, mediatrice civile e titolare dello studio legale Dini-Saltalamacchia che assiste attivisti, ambientalisti e comunità locali colpite da multinazionali e non solo. “Il problema è anche l’accesso alla giustizia: i costi per depositare queste istanze rendono questo diritto un campo esclusivo e poco democratico”. 

Per bloccare l’accesso dell3 cittadin3 alla giustizia viene spesso fatto riferimento anche al diritto alla privacy. Lo spiega sempre Dini, quando dice che “il garante per la privacy è bersagliato di istanze anche promosse da Comuni che intendono bloccare l’accesso agli atti di cittadini e associazioni perché c’è un diritto alla privacy. Ma quando si parla di ambiente, governo del territorio e diritti umani la privacy c’entra poco”.

Dini sostiene che tutte queste azioni siano “tattiche di controllo sociale ed esempi di diritto penale del nemico”, dove per diritto penale del nemico si intende un binario parallelo e separato del diritto penale, avente un livello di garanzia diverso perché non si rivolge al cittadino ordinario ma a chi, di volta in volta, viene identificato come il nemico all’interno della società.

E quindi, come tutelarsi? “Oggi più che mai è necessario recuperare la democrazia, come sistema plurale e conflittuale”, sostiene l’avvocata. “Esprimere la nostra voce contraria è un diritto. Il conflitto sociale non va represso ma è fondamentale perché esso esercita un controllo sul potere”. 

Oltre ad esercitare il diritto di critica è fondamentale unirsi, ricostruire comunità, agire in modo sinergico, formando un fronte comune di giornalist3, attivist3, avvocat3, cittadin3 e difensori della società civile, posizionando qualche bandierina in meno e attivandosi per qualche azione in più tesa al bene comune, come la libertà di espressione, il diritto di critica e di essere informati. 



Editing di Sara Manisera

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